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Annuario del Centro Studi Umanista Mondiale (1995)

L'UMANESIMO NELLA CULTURA GUANCHE di Francisco Josè Fuentes Martin

Las Palmas di Gran Canaria. 29 Ottobre 1995

SPIEGAZIONE

E' difficile, dall'oggi, tuffarsi ad esplorare quel grande e antico mare che senza alcun dubbio fu rappresentato dalla cultura Guanche. Molti storici di rilievo e ben esercitati nell'arte dello svelare il passato hanno fatto magnifici “tuffi” nelle oscure acque di quell'antico mare, di quella meravigliosa e misteriosa cultura neolitica. Questo oscuramento, accompagnato dal passare del tempo, trova il suo maggiore inconveniente, oltre che nella scarsità di informazioni, nell'impossibilità di confrontare le scoperte di Antropologi, Archeologi, Storici, Filologi ed altri scienziati con aborigeni guanche che, discendendo dagli antichi, abbiano conservato, malgrado le modificazioni evolutive e le influenze culturali, l'essenza della loro arcaica cultura. Questo è dovuto, tra le altre cose, allo sterminio guanche provocato dai conquistadores, spinti dalla necessità di espansione territoriale ed economica dei loro monarchi. E' evidente che se la difficoltà è estrema al momento di cercare di scoprire un qualsiasi aspetto della vita di quelle persone, lo è ancor più riguardo al loro pensiero ed al loro sentire. E' grazie al lavoro accurato ed al rinnovato sforzo di numerosi scienziati, nel corso della Storia fino ai giorni d'oggi, che possiamo disporre di certi dati. Sufficienti, questo sì, per conoscere in modo generale il modo di vivere degli aborigeni.

In questo lavoro vogliamo avvicinarci al mondo dei guanche a partire da una prospettiva nuova, o perlomeno non abituale, non frequente quando lo studioso si incontra con il passato. Questa metodologia, per così dire “nuova”, la cui linea di lavoro è stata intrapresa dagli scienziati riunitisi attorno al Centro Mondiale di Studi Umanisti1), vuole raccogliere il meglio di ogni cultura, quello che è comune a tutte ed è direttamente responsabile della migliore direzione evolutiva dei diversi popoli. Questo fattore decisivo consiste negli “atteggiamenti e momenti umanisti” 2) che ogni cultura ha prodotto e propiziato nel suo trascorrere temporale.

La seconda linea di sviluppo si incammina a partire da un'idea sorta in alcuni circoli umanisti universalisti che propongono uno sviluppo serio sulla possibilità di mettere in pratica il concetto di “Debito Storico”. Questo concetto è di capitale importanza al momento non solo di valorizzare l'impatto di una cultura su di un'altra, ma anche di stabilire responsabilità.

Infine, in questo lavoro ci dirigiamo chiaramente verso tre obiettivi:

  1. Diffondere apertamente l'Umanesimo universalista. Concetto che persegue la possibilità di trasformazione della società attorno a idee di non discriminazione, non violenza e tolleranza. Basandosi su di un cambiamento radicale di valori che umanizzino la vita sociale nella quale si sviluppano gli individui. Questi cambiamenti di valore devono essere disegnati e scelti da ognuno di noi come aspirazione verso una vita migliore, che superi il dolore e la sofferenza, valorizzando in primo luogo le persone e la loro diversità e seguendo una lunga scala che va da ciò che è prioritario verso ciò che è secondario.
  2. Raccogliere gente attorno all'Umanesimo per creare una coscienza umanista nelle Canarie. Il popolo delle Canarie ha avuto come progenitori due grandi culture. Come padre severo, diciamo così, la cultura spagnola, e come madre la cultura Guanche. Crediamo che, riscattando ciò che di meglio ci hanno lasciato i nostri predecessori, coscienti di quanto di meglio c'è in noi stessi, riusciremo a contribuire in primo luogo ad una riflessiva riconciliazione con il nostro passato. In secondo luogo potremo andare nel presente con dignità. Terzo, costruiremo un futuro buono per tutti. Questo primo lavoro pone le fondamenta per un futuro studio sull'Umanesimo nella cultura canaria, che cercheremo di terminare tra breve e che sarà l'oggetto dei nostri maggiori sforzi; cercheremo di conoscere meglio le caratteristiche più positive dell'uomo delle Canarie per sommare questa conoscenza a quella delle altre comunità del mondo. Vogliamo che questa iniziativa venga continuata da altri isolani che considerano l'uomo come valore principale, invitandoli, fin da ora, a riscattare gli “atteggiamenti e momenti umanisti” del popolo canario.
  3. Arrivare ad una via d'uscita dal nazionalismo schizofrenico e dall'ipocrisia delle istituzioni vigenti. Con i tempi che corrono, cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide da altri popoli è un segno non solo di intelligenza, ma di coerenza e di senso comune. Questo non implica non essere più fedeli alla verità, perdere di rigore o mancare di fermezza, tutto il contrario. Con amabilità, ma con fermezza e rigore, gli umanisti delle Canarie descrivono il tragico contatto tra le culture guanche e quelle europee, sottolineando (e c'è una vasta documentazione che lo conferma) la tremenda intolleranza e la violenza nella condotta dell'europeo, non solo dei dirigenti, ma anche dei coloni spagnoli e dei cittadini europei e che rappresenta una delle radici dell'attuale popolo delle Canarie. Siamo consci anche dell'esistenza di un nazionalismo ipocrita, interessato e codardo, che attualmente è sostenuto dai partiti tradizionali istallatisi al potere, letteralmente venduti ad interessi esteri e finanziari. Naturalmente l'appello deve segnalare anche la decomposizione del tessuto sociale assieme ai valori ed alle credenze della società. Da ciò deriva la possibilità del risorgere di vecchie correnti violente che, cercando di riempire il vuoto di valori attuali, installino altri valori di carattere antiumanista che andrebbero a provocare mali peggiori di quelli che cercano di risolvere.

Ad ogni modo, quando arriva il momento di rivendicare la nostra indipendenza, lo facciamo intelligentemente e con rispetto, collocando come valore centrale l'essere umano, qualunque sia la sua origine, ma in particolare il canario, cioè gli interessi nazionali di questa comunità. Ricordiamo che i meccanismi attuali di potere che controllano le isole sono illegittimi da un'ottica umanista, giacché questo potere é stato ottenuto in forma violenta. Si pratica la discriminazione di altri esseri umani, legittimi “aggiudicatari” di queste isole. Questo potere é stato ottenuto attraverso lo sterminio di una cultura e di una etnia; uno sterminio cosciente, realizzato per ragioni di intolleranza e per il rifiuto di ciò che é differente, tipico di quella corrente cristiana uniformante che predominava in quell'epoca. D'altra parte, è ovvio che attualmente il potere su queste terre e queste genti sia legato agli antichi re ed ai loro eredi (la Corona Spagnola), entrambi appartenenti alla stirpe reale europea. Essendo ancora vigente il potere ricevuto dagli antichi re di Castiglia, questa corona spagnola é depositaria del lascito e dei suoi benefici. Insieme all'eredità lasciata dai vinti al popolo delle Canarie: ”… obbedienza e sottomissione al Re di Spagna… ” (G. Escudero in F. Morales Padron). Nell'esposizione che facciamo sul concetto di debito storico si vedranno chiaramente le nostre intenzioni e le nostre idee riguardo a quanto esposto finora. In questo modo renderemo esplicita la nostra posizione, tenendo sempre presenti i nostri legami “parentali o familiari” con altre regioni spagnole e i legami di amicizia esistenti con altre regioni del mondo.

SCONTRO TRA DUE MONDI

L'Europa medioevale e le sue intenzioni. Due forme di pensare, due modi di vivere si scontrarono frontalmente in queste terre bagnate dall'Atlantico, circa sei secoli fa. A quei tempi, oscuri venti sferzavano l'Europa e la sua cultura. Portando a spalla una croce insanguinata con il sangue degli infedeli e dei nemici della fede; seguendo le direttive violente di quella che allora era la cultura nascente, i regnanti europei estesero i loro domini su tutto il mondo conosciuto e, col tempo, su tutta la Terra.

Quando i primi europei arrivarono sulle Isole Canarie, verso la fine del sec. XIII, quando l'Europa arrivò all'arcipelago, vide realizzata una delle sue maggiori aspirazioni: manodopera a basso costo. Nel corso del sec. XIV essi scoprirono un mondo ed una società in condizioni di inferiorità, soprattutto militari. Si accesero vampate di entusiasmo in differenti strati sociali. E i sogni di potere e di ricchezza attrassero non solo individui ambiziosi di ogni specie, ma anche differenti regni del mondo europeo, così bisognoso allora di quella manodopera. Questa necessità sorse principalmente come conseguenza delle continue guerre di espansione religiosa e politica; delle epidemie, della fame e delle esecuzioni di infedeli; delle deficienze nella struttura economica. Tutto ciò provocò una drastica riduzione della popolazione, un crollo della qualità della vita ed un allarmante impoverimento dei regni cristiani. Per queste ragioni i regni europei avevano bisogno di espandersi territorialmente ed economicamente… Con tutta probabilità le ragioni che mossero i vertici sociali verso l'espansione furono la scarsità di risorse, le ansie di potere e le loro casse vuote. Non tanto la sofferenza delle loro popolazioni, giacché, evidentemente, erano proprio questi vertici a generare e produrre quelle condizioni di vita. Anche per queste ragioni (espansione politico-territoriale per i loro capi e manodopera a basso costo) molti grandi personaggi della nobiltà e rinomati commercianti investivano grandi energie nel fiorente commercio della cattura e del traffico degli schiavi. Tutto questo sotto la tutela legale del regno in cui ebbero la grazia di nascere (o di quello cui prestavano volontariamente i loro servizi). Di sicuro le spedizioni effettuate nelle Canarie erano dettate dall'interesse per il commercio legato alla cattura degli aborigeni isolani, dal momento che questi non possedevano altra ricchezza che se stessi. Durante il sec. XIV, persone di diverse nazionalità raggiungono l'isola: genovesi, maiorchini, portoghesi, castigliani, normanni, ecc., al fine di catturare schiavi e venderli al mercato. Questa attività, socialmente accettata, proseguì negli anni della conquista, lungo tutto il sec. XV e fino quasi al suo termine, dato che il commercio degli schiavi costituiva una delle principali fonti di entrata per i conquistatori. A onor del vero, bisogna dire che numerose persone erano contrarie a queste pratiche. Uomini di buona volontà, come alcuni sacerdoti e cittadini comuni i quali, indignati, fecero pressione come poterono sul potere stabilito. Con ciò ottennero un lieve attenuamento della crudeltà degli abusi su alcuni guanche, ma non si evitò il loro sterminio. Il cittadino comune, il colono, provava una grande avversione verso l'uomo nativo, preferendo, in generale, che gli autoctoni fossero schiavizzati o venissero espulsi da queste terre isolane, nonostante questo fosse vietato, in minima parte, dal Re di Spagna, con proibizioni che comunque non venivano osservate completamente né fatte rispettare adeguatamente; al contrario di altri aspetti che, per quanto lontani si fosse, venivano scrupolosamente osservati e compiuti al millesimo. Non inganniamoci: c'era un doppio aspetto nel comportamento dei regnanti. Da una parte essi emanavano “bolle” concedendo apparenti benefici agli indigeni, e dall'altra permettevano l'esistenza della schiavitù e di leggi come quella che proibiva l'accesso alle università agli ebrei, agli infedeli e ai canari.

Non è difficile immaginare, in quel contesto, l'estrema rigidità di pensiero e la grande brutalità dell'europeo medio. E' risaputo come l'umanesimo, in quei tempi turbolenti del Medio Evo, brillasse per la sua assenza. Questa mancanza di umanesimo riguardava tanto le istituzioni quanto la struttura sociale in generale, tranne alcuni piccoli settori dell'élite scientifico-artistica, che cominciavano a vedere il mondo con occhi piú umanizzati. Questo promosse, piú tardi, nel Rinascimento, il grande cambiamento di quella cultura. Disgraziatamente, i valori umanisti che il nascente Rinascimento portava con sé non giunsero al popolino, e ancor meno al colono pretenzioso, se non molto tempo dopo. Le culture guanche erano ormai scomparse dalla faccia della terra. Le nazioni che cercarono di conquistare le isole furono diverse, ma principalmente portoghesi e, soprattutto, spagnoli, i quali rivaleggiarono tra loro fino all'entrata in scena dei Re Cattolici. Durò circa un secolo la conquista dell'Arcipelago Delle Canarie (1402-1496), e la si può dividere in due fasi. Prima: Fase Normanna. Nella quale Juan de Bethencourt, patrocinato da Enrico III re di Castiglia, sottomette le isole di Lanzarote, Fuerteventura e Hierro (e forse anche Gomera), alla corona di Castiglia. Dopo la conquista di queste isole, la rivalitá tra portoghesi e spagnoli era ormai divenuta permanente. Le isole passavano continuamente dal dominio degli uni a quello degli altri. Seconda: Fase dei Re Cattolici. Nella quale questi assumono il diritto di conquista delle isole maggiori, cioé Gran Canaria, Las Palmas e Tenerife.

IL GUANCHE E IL SUO MONDO

Come è stato detto, è difficile indagare sul modo di vivere del guanche. Ancor piú complessa si fa la ricerca quando si tratta di verificare il suo modo di pensare e di sentire. In tutti i casi, faremo un modesto sforzo, suscettibile di maggiori approfondimenti, in direzione della raccolta di atteggiamenti e momenti umanisti di un popolo che è rimasto nell'oblio ma che, ciò nonostante, ha senza dubbio trasmesso la sua saggezza ed il suo atteggiamento umanista al suo discendente diretto, il popolo delle Canarie 3).

CONSIDERAZIONI

In primo luogo dobbiamo avvertire che, parlando delle diverse culture isolane in maniera globalizzante, sottolineeremo il problema che tale visione comporta, dato che le culture guanche non possono essere omogeneizzate le une con le altre. Questa varietà culturale (una cultura in ciascuna isola), è prodotta da diverse tradizioni sorte in varie parti del territorio nordafricano, il luogo più probabile dal quale esse hanno origine (tra il 2500 e il 1000 a.C.). In secondo luogo, l'adattamento all'ambiente isolano di ogni gruppo umano segnò le differenze tra isola e isola, le quali rimasero differenziate a causa delle scarse relazioni fra di loro. Le culture autoctone si svilupparono separatamente lungo un periodo di quasi 2000 anni, prima dell'arrivo degli europei. Malgrado ciò, continueremo fedelmente nell'approccio globalizzatore unificando queste culture isolane in una sola, senza per questo voler negare il rispetto della diversità etnica e culturale, come fanno invece le correnti “uniformanti”. Il vero motivo che ci porta a presentare questo lavoro unificando le culture di ogni isola (menzionando gli elementi differenziatori) è dovuto principalmente alle chiare similitudini esistenti nel modo di vita e nei costumi delle culture aborigene, per una migliore comprensione degli aspetti generali di quell'uomo.

L'AMBIENTE SOCIALE DEL GUANCHE

Questa società, con un tronco comune (cultura di substrato), ma con alcune differenze tra isola e isola a causa della insalubrità e delle immigrazioni, era divisa in pochi strati sociali 4), a causa, tra le altre cose, del suo primitivismo economico e tecnico. Invece le differenze esistenti tra questi strati sociali erano notevoli, soprattutto riguardo alla qualitá della vita, al prestigio ed alla onorabilitá dei suoi membri.

Malgrado un sistema di vita semplice ed elementare, proprio dei popoli pastorizi ed agricoli, e malgrado uno sviluppo tecnico rimasto fermo al neolitico, questo sistema, da quanto si apprende dalle informazioni di A. Espinoza, confermate anche da altri, era una struttura sociale complessa (è questo il caso delle isole maggiori) nella quale si può osservare la figura del cacicco, o signore dei vassalli, che amministrava le risorse e i beni e al quale era dovuta obbedienza e sottomissione. Come descrivono perfettamente i dottori Antonio Tejera Gaspar e Rafael Gonzales Anton, la struttura sociale aborigena, soprattutto in Gran Canaria e Tenerife, corrisponde ad un'organizzazione sociale a clan conico. Il clan conico è un gruppo esteso, con origine comune, nel quale, partendo dal padre, o madre, o antenato del clan, si ramifica tutta un'organizzazione sociale dispersa in lignaggi locali. In questo modello venivano marcate grandi diseguaglianze tra i suoi membri in funzione della distanza genealogica che li separava dal progenitore, una diseguaglianza che si manifestava in differenze di rango nel lignaggio, in una chiara distinzione di prestigio tra i membri inclusi nel ramo più antico (linea di prima istanza) e i membri che facevano parte di altre ramificazioni piú giovani (linee di seconda istanza)5).

In sintesi, la forte gerarchizzazione e la diseguaglianza sociale presenti nel mondo aborigeno erano fondamentalmente relazionate alla vicinanza o alla lontananza dell'individuo dall'antenato del suo clan o dal possesso di ricchezze (maggiore o minore quantitá di bestiame), che generalmente erano ottenute per rango, e proporzionali al lignaggio.

I guanche avevano la credenza, trasmessa loro fin da bambini, che le forze della divinità (Enti Superiori) avevano stabilito quell'ordine sociale fin dagli albori; pertanto, le alte istanze del vertice sociale avevano pronta la giustificazione per poter controllare e sfruttare il resto della popolazione. Questa credenza, la cui fiamma era utilizzata e ravvivata dai faicanes (sacerdoti, in Gran Canaria), serví a minacciare lo strato più umile, educandolo alla rassegnazione giacché, essendo quel sistema una volontá divina, non c'era alcuna possibilità di cambiamento6).

D'altra parte, va detto che esisteva la possibilità di accedere a posizioni più elevate nella configurazione sociale, per individui provenienti da gruppi inferiori. Questi settori sociali non erano del tutto chiusi, come accade per altri popoli strutturati in caste. Neppure esisteva un sistema di schiavitù tanto esteso come in altre regioni del pianeta. Al contrario, si può osservare come anche coloro che erano considerati inferiori potevano arrivare ad essere nobili e viceversa. Era imprescindibile per il candidato, la realizzazione di qualche impresa, o merito personale, essere ben visto dal popolo e non aver commesso alcuna mancanza di fronte alla legge né realizzato lavori rifiutati dalla comunità. Ad ogni modo, la decisione di elevare una persona a membro della nobiltà, o far scendere di livello un nobile era un'esclusiva dei faicanes (seconda persona dopo il re), o dei guanarteme o menceye (re, in Gran Canaria e Tenerife). Seguendo il modello, troviamo che ogni menceyato o tribù è basato sulla discendenza patrilineare o matrilineare e patrilocale, con una marcata abitudine a contrarre matrimonio con un coniuge della stessa tribù e di comune ascendenza, nel tentativo di conservare il lignaggio con la maggior purezza possibile. In zone quali Gomera e Gran Canaria il modello di gruppo di discendenza era matrilineare (sebbene non venissero ammesse regine), cioé al re succedevano, per esempio, i figli di sua sorella.

Nella vita sociale di questo sistema gerarchizzato e arbitrario vigevano leggi antiumaniste. Bisogna tenere in considerazione la mentalità degli antichi riguardo alla loro cultura materiale e alla qualità della vita. Dobbiamo sottolineare l'estrema povertà e la dura vita che erano costretti a fare; contando solamente su un'industria rudimentale, basata sulla pietra, e una rudimentale economia agricolo-pastorizia. Questi fattori configurarono difficili condizioni di vita che, in certe occasioni, toccarono dei limiti vergognosi, come l'infanticidio femminile, soprattutto nei momenti di scarsità di risorse, con funzione di bilancia demografica.

In questa organizzazione sociale esisteva un trattamento ingiusto della donna, sottomessa all'autorità del sesso opposto. Come accadeva in tante altre culture di quell'epoca, nelle quali le donne venivano sfruttate, maltrattate ed obbligate a fare i maggiori sforzi e sacrifici. Alle donne guanche non solo si chiedeva di essere le procreatrici dei figli “dello sposo” e di farsi carico dei lavori domestici, ma inoltre di prestare i propri servizi dal punto di vista produttivo, cioé di lavorare per l'uomo. Per il guanche era di vitale importanza la natalità, giacché da essa dipendeva la continuità della sua casta. Diverse fonti segnalano l'esistenza, in entrambe le isole (Gran Canaria e Tenerife - le più grandi e sviluppate), della separazione o ripudio della moglie, probabilmente dovuto a cause di sterilità. Ed è possibile, secondo quanto dicono Rafael Gonzales e A. Tejera Gaspar, che nei casi in cui la donna non procreava, il matrimonio si dissolvesse. In altre isole, come ad esempio Lanzarote, perlomeno secondo le cronache di Bethencourt (conquistatore dell'isola), ogni donna possedeva tre mariti, in contrasto con quanto sopra. Ciò nonostante, è lecito sospettare che ciò non fosse abituale. Nella maggior parte delle culture patriarcali, la donna ha sempre avuto ed ha un difficile ruolo nella società in cui le tocca vivere.

Anche nelle questioni giuridiche la barbarie era presente nella vita pubblica nativa. In alcune isole si castigava brutalmente l'omicida, portando il colpevole sulla riva del mare, ponendogli la testa su una pietra e schiacciandola con un'altra fino a fargli uscire fuori il cervello. Questo succedeva a Fuerteventura, mentre in altre isole, come Hierro, veniva strappato via un occhio al ladro al suo primo furto, e l'altro al secondo. A Gran Canaria c'erano carceri pubbliche, sebbene esistesse la pena di morte per chi uccideva. Da un'ottica umanista, la società più avanzata riguardo ai modi di punire i delinquenti era quella di Tenerife. Le pene per furto, assassinio e mancanza di rispetto verso una donna erano regolate giuridicamente, ma non esisteva la pena di morte, bensì “il disprezzo della comunità”. Questo veniva effettuato attraverso l'esilio, con l'aggiudicazione del bestiame e dei beni a favore della famiglia compromessa, o con il castigo di lavorare nell'attività più umiliante: fare il macellaio.

Nel contesto oppressivo nel quale viveva la gente comune non è difficile immaginare la sensazione di coercizione che i gruppi privilegiati esercitavano sul resto della popolazione per ragioni di sesso o di nascita sfortunata. Le ricchezze (che non erano molte, costituite più che altro da capi di bestiame), la cultura, gli onori militari e i beni materiali erano fondamentalmente per i nobili. Agli altri toccava soltanto lavorare per loro. In questo non c'erano grandi differenze tra conquistatori e conquistati.

A nostro parere, il fatto che i nobili guanche esercitassero tanto potere coattivo verso gli strati più bassi, insieme alle dispute tra nobili di differenti clan (guerre, screzi e alleanze con gli spagnoli da parte di alcuni re guanche), e le promesse di liberazione del dio cristiano, diffuse dai sacerdoti europei giunti sulle coste canarie nel corso di quasi due secoli, l'insieme di tutti questi fattori finì per piegare l'unità degli autoctoni e seminare lo scontento nella popolazione isolana. Questo contribuì in modo determinante ad una più rapida disintegrazione del mondo aborigeno e ad una accelerazione degli avvenimenti. Ciò nonostante (ufficialmente), la conquista totale delle nazioni guanche e il soffocamento del loro modo di vivere richiese circa novantaquattro anni.

La pressione era grande per la nobiltà aborigena: i conflitti interni da una parte, la diffidenza del popolo verso i suoi dirigenti dall'altra. Il carente livello tecnologico e militare e il costante assedio da parte di truppe militarmente più avanzate (regni europei, più esattamente di Castiglia), senza contare le malattie che queste portavano con sé decimando la popolazione isolana, fecero inclinare la bilancia dalla parte degli interessi degli invasori. Alla fine, i soldati spagnoli terminarono implacabilmente il lavoro. Ciò nonostante, sebbene nella forma esistesse un modello oppressivo simile a quello europeo, c'erano grandi differenze di fondo. Lo scopriranno poi, disgraziatamente, i guanche vinti, condannati ad una vita di schiavitù e di crudeltà e destinati alla scomparsa.

Passiamo quindi a studiare, senza approfondire, gli atteggiamenti e il modo di agire del guanche nei confronti del suo prossimo, riscattando, per quanto sarà possibile, dalla sofferta storia e dalla difficile vita degli abitanti delle cosiddette “isole fortunate”, momenti ed atteggiamenti umanisti.

MOMENTI E ATTEGGIAMENTI UMANISTI DEGLI ABORIGENI DELLE CANARIE

Dal nostro punto di vista, il momento migliore per apprezzare l'atteggiamento umanista in una comunità, o in un uomo, è quando si stabiliscono contatti col diverso, con ciò che non è uguale. Cioé quando c'è conflitto. Questo capitolo mette a fuoco, fondamentalmente, il comportamento dei nemici in una situazione limite. La difficoltà che abbiamo personalmente nel manifestare un atteggiamento umanista nei momenti in cui uno sconosciuto, o un nemico, vuole oggettivarci o utilizzarci, è ovvia. Le reazioni violente sogliono essere la prima risposta. Ciò nonostante, il tipo di risposta varierà a seconda dell'educazione di ciascuno, ossia: a seconda dell'influenza esercitata dai codici di comportamento della società in cui si vive, sommando a questo le qualità umane di ciascuno. Ad ogni modo, come si suol dire, “la pazienza ha un limite” e se, dopo continui sforzi amichevoli, la violenza impera, la reazione è inevitabile.

Seguendo il criterio del “trattare gli altri come si vuole essere trattati” e comprendendo l'ambiente sociale e personale in cui si svolgono gli avvenimenti, potremo distinguere un atteggiamento umanista da uno antiumanista. E' chiaro che comprendere il momento storico non giustifica nessuna delle aberrazioni commesse contro l'essere umano ad opera di “tutte le parti”, ma aiuta a valutare il grado di intenzionalità o di malafede in quelle atrocità. Un elemento, questo, imprescindibile al momento di conoscere le qualità umane di coloro che commisero quegli atti ed il loro grado di responsabilità. In tal modo la gente di senso comune è in grado di distinguere, a grandi linee, la sproporzione che esiste tra la malafede e l'errore, seppure in alcune occasioni la linea divisoria sia molto sfumata e difficilmente riconoscibile. Malgrado ciò, in quei momenti in cui le circostanze coprono di un oscuro manto la calda luce della conoscenza, la sensazione di tradimento interno sperimentata da coloro che sono coinvolti in una azione sleale (sia gli aggressori che gli aggrediti), è del tutto particolare e non lascia dubbi.

In definitiva, è chiaro che qualunque delle parti in lotta, a seconda delle circostanze, potrebbe commettere una qualche azione di tradimento. E tale tradimento potrebbe essere considerato o no come tale, a seconda della parte in cui si trova colui che racconta; ma sarà sempre la qualità umana degli individui a segnare le differenze e a far sbocciare la verità davanti agli occhi del buon osservatore. Fra le righe, tra cronache e frammenti, intravvederemo lo spirito non violento del popolo guanche. Poichè la sua prima risposta di fronte all'estraneo è la curiosità, la comunicazione, il rispetto, la tolleranza, la transigenza e l'offerta di amicizia. Ma quando questo non bastava, il suo valore faceva da muro di cinta contro la violenza.

I GUANCHE E IL NEMICO

Gli aborigeni delle Canarie, generalmente di carattere affabile, erano ben disposti, fin dal primo momento, all'avvicinamento e all'interscambio culturale; anche nelle località più inespugnabili e difficili da conquistare, come Gran Canarie e Tenerife. Prima della conquista, gli isolani mantenevano relazioni e accordi amichevoli con gli europei; infranti continuamente da questi ultimi 7). In questo senso è significativa la risposta di Bencomo, mencey di Acentejo (Tenerife), alla proposta fattagli da Fernandez de Lugo, conquistatore dell'isola di Tenerife e La Palma. ”… dissegli che tre cose venivano a chiedere: prima, la pace; la seconda, che ricusassero la legge di Grazia; ultima, obbedienza e sottomissione al Re di Spagna. Le due prime udirono tutti con buona volontà, ma l'ultima feceli fremere e giurare, sul corpo imbalsamato e onorato dell'antico Gran Thynarf, che prima sarebbero morti mille volte” (G. Escudero, in F.Morales Padrón, 1978 p.445) Cosicché, secondo i cronisti, Bencomo e i suoi accettarono con piacere di essere amici; credo che ricevere insegnamenti religiosi per convertirsi al cristianesimo gli sarà suonato strano,ma accettarono di buona volontà. Ma è evidente che, ciò nonostante, li offese moltissimo l'ultimo punto: cedere così la loro terra, la loro casa e la loro gente, al singolare e insolito straniero.

Un altro aspetto interessante era il loro grande valore, al momento di far fronte alla violenza esercitata dai conquistatori. Un movimento di truppe con intenzioni belligeranti, una flagrante aggressione, abusi e oltraggi, o il mancato compimento di un accordo, erano gli unici motivi che facevano scatenare un'energica azione contundente da parte degli antichi canari. Il loro valore a volte arrivava al limite del suicidio, quando vedevano persa ogni possibilità, preferendo la morte alla resa. Ma, ad ogni modo, ciò che ho notato maggiormente nel popolo guanche e che ho raccolto da varie fonti, è il suo profilo umanista (in contrasto con l'atteggiamento degli spagnoli), nel quale predominava il rispetto e la benevolenza nei confronti dei loro simili, tanto in tempo di guerra che di pace.

Un dato da sottolineare è la pietà con cui i guanche di Tenerife trattavano i nemici. Quando ne catturavano uno, esso non veniva castigato crudelmente, né sgozzato, né maltrattato o schiavizzato; in questi casi i rei venivano semplicemente obbligati ad esercitare il mestiere per loro più disprezzabile: il macellaio. Non si sa ancora con esattezza il motivo, ma sembra che li molestasse alquanto la vista del sangue. Forse deriva da ciò il rifiuto, istituzionalizzato, che la società aborigena manifestava riguardo al compito di ammazzare gli animali e di tagliarne la carne per il consumo umano. Può darsi che la loro avversione per il liquido rosso avesse origini religiose. Ad ogni modo, il castigo di fare da macellaio ci sembra molto avanzato per quei tempi. Per illustrare quanto detto riportiamo qui la risposta di Tinguaro a suo fratello Bencomo, quando questi recrimina per non aver inseguito le truppe spagnole dopo averle sconfitte nell'epica battaglia di Acentejo (poi chiamata “Il Massacro di Acentejo) 8), in cui gli spagnoli subirono una massiccia sconfitta. “Io ho svolto il mio compito di capitano -dice - vincendo e dando ordini allo scopo, ora facciano il loro i macellai, completando la vittoria che vi ho dato”. (Pedro H. Hernández Borges. 1978 p.203) 9).

Riproduciamo anche un paragrafo scritto dallo storico francescano Fra Abreu Galindo, in cui si menziona l'atteggiamento dei guerrieri in caso di guerra con altri regni. “Erano molto accorti con le donne e i bambini in tempo di guerra e di discordie. Consideravano una bassezza e una mancanza di valore toccarli o fare loro del male, come pure alle case di preghiera” (Cfr. Abreu Galindo, II, 2. p.150). Nella seguente narrazione possiamo osservare l'indiscutibile stile umanista che gli aborigeni di Fuerteventura possedevano. Precisiamo che questo racconto è una interpretazione, da parte del dottor Luis Diego Cuscoy, di un fatto storico. Forse l'autore si lascia trascinare da una certa passione e da un certo entusiasmo poetico. Tuttavia siamo certi del suo rigore scientifico e presentiamo questa leggenda come un tentativo di approssimazione a quanto accaduto 10).

In definitiva, nella società guanche, apparivano elementi molto avanzati dal punto di vista umano. “Due erano i re che si spartivano il governo di Erbania: Guize e Ayoze. Guize governava il nord dell'isola, nel paese di Maxorata; Ayoze il sud, fino al braccio di terra di Jandia, che finisce nel mare. Non poterono resistere questi re, allo scontro di Bethencourt. Il 18 gennaio 1405, davanti a quarantadue vassalli, si consegna Guize, per essere battezzato pochi giorni dopo. Ayoze aspetta fino al 25 e, con quarantasette dei suoi, si presenta nell'accampamento di Bethencourt e riceve l'acqua battesimale: a Guize diedero il nome di Luis e ad Ayoze quello di Alfonso. I nomi cristiani cancellarono dalla lapide di Fuerteventura i nomi dei loro ultimi re. Bethencourt invita a cena i re dell'isola. Guize e Ayoze, che non si sono ancora abituati ad essere chiamati Luis e Alfonso, si siedono accanto al condottiero, ed è in quell'istante che si produce la meraviglia. Per rallegrare la festa, si suona della musica. Guize e Ayoze sono rapiti dalla semplice melodia. Si guardano, si siedono turbati e rimangono muti. No, non avevano mai udito una musica tanto delicata. I loro orecchi erano abituati al rumore del mare, al grido del vento, al battito profondo e misterioso della terra. Qualcosa di nuovo si è risvegliato in loro. Mai giunse a Maxorata una simile melodia. Jandia era sempre assordata da rabbiosi venti di levante, venti che tramano col mare per castigare la costa desolata, condannando ad un udito non addolcito per la musica. Accade quindi un improvviso risveglio dei re. Guize e Ayoze si alzano, si avvicinano a Bethencourt e gli dicono queste indimenticabili parole: “Signore, se tu fossi giunto a noi vestito come lo sei ora e con la musica che ora ci hai fatto udire, rapidamente ti si sarebbe sottomessa l'isola e senza lottare. E, se tu volessi, molti altri paesi potresti conquistare, solamente vestendoti come sei ora e portando davanti a te questi uomini che fanno suonare strumenti tanto meravigliosi”. (I primi flauti che suonarono a Fuerteventura. “Fra il vulcano e la conchiglia”, Luis D. Cuscoy). La flessibilitá e la tolleranza di questo popolo isolato dall'Atlantico era evidente quando si cercava di giudicare un atto riprovevole. Queste genti, dette “barbare” dai conquistatori cristiani, dimostrarono di possedere uno spirito benevolo ed indulgente, a livello generale con i delinquenti e, perlomeno, con i loro nemici venuti da altre terre. Serva da esempio l'aneddoto accaduto durante il regno di Anaga (isola di Tenerife), in cui si narra quanto segue: ”… il Mensey di Anaga permette di costruire un torrione a Sancho de Herrera, stabilendo un patto secondo il quale se qualche spagnolo commettesse un qualche delitto, dovrebbe essere giudicato dal mencey e, al contrario, se si trattasse di un guanche, sarebbe rimandato a Sanche de Herrera. Accadde, quindi, che gli spagnoli rubarono del bestiame e maltrattarono i pastori. Quando gli aggressori furono inviati al mencey di Anaga, questi si limitò a consigliarli e poi li perdonò , lasciandoli liberi. Ma un giorno accadde il contrario. Stanchi degli oltraggi, i guanche picchiarono e ferirono un soldato spagnolo e Sancho de Herrera reclamò i colpevoli. Essi furono consegnati e Sancho de Herrera, quindi, li impiccò. Sebbene miti e inclini al perdono, i guanche si ribellarono uccidendone alcuni e cacciando gli altri dall'isola, e con questi Sancho de Herrera, il loro capo.” (Pedro H. Hernández Borges. 1978. Pag.203).

Per finire, daremo un esempio che pensiamo riassuma il carattere di quelle persone e il loro modo di trattare i nemici.

Nel leggere quanto segue si deve tenere conto di tre cose: primo, la definizione di “atteggiamento umanista”, per valutare, per contrasto, chi lo pratica; secondo: quanto segue è scritto da un fedele alla corona spagnola e alla civiltà cristiana; terzo, Torriani interpreta a sua volta (col suo particolare mondo interiore), ciò che si suppone sia stato detto approssimativamente cento anni fa. Sebbene il capitolo sia certamente un po' lungo, vediamo la necessitá di trascriverlo per intero, dati il suo interesse e la sua importanza storiografica, legata all'idea che proponiamo in questo studio. Che ognuno tragga le proprie conclusioni. “Diego de Herrera, dopo aver comprato le quattro isole conquistate da Juan de Letancurt, volle fare le sue mosse. Incominciò, insieme a dei forestieri e ai suoi vassalli, ad assalire i canari, i quali, essendo abituati alla guerra contro altre nazioni, ne uscirono alla fine vittoriosi. Tra le molte scaramucce che ebbe con loro, ce ne fu una memorabile, presso il borgo di Tirahana, nella quale, oltre ad avere perso molta gente, fu costretto a ritirarsi sulla spiaggia, in un luogo fortificato. Vedendo che i canari si univano tra di loro ed ogni giorno era piú difficile vincerli, cercò di dividerli in modo che, assaltandoli un giorno qui e un giorno là, potesse in questo modo ottenere poco a poco la vittoria, e più facilmente. A tale scopo ordinò a Diego de Silva, nobiluomo portoghese che aveva con sé in questa guerra, di assaltare il borgo di Galdar con 200 soldati scelti. Arrivato a Galdar ed ingaggiata la battaglia con i galdesi, Silva ebbe la peggio, di modo che quelli lo obbligarono a ritirarsi in un luogo circondato da pietre ed a combattere disperatamente in quella che era la sua ultima difesa. E lí, quando vide che in poco tempo alcuni dei suoi morivano ed altri rimanevano feriti, chiese astutamente di parlare con il re dei galdesi e promise di arrendersi a certe condizioni. Il Guanarteme, che stava combattendo in prima fila con i suoi, sospese la battaglia e comandò alle sue truppe di ritirarsi per un tratto; si avvicinò di alcuni passi verso il luogo dove stavano trincerati i cristiani e Silva, con un gesto di pace, salutando il Guanarteme con modi lusinghieri, gli parlò poi con determinazione nel seguente modo: 11)

- Non pensare, oh Guanarteme, che avendoci fatto ritirare in questo luogo, la lunga durata di questa lotta tra voi e noi sia dovuta al timore di essere uccisi per mano vostra o imprigionati e asserviti alle vostre genti. Il valore di chiunque lotti per la fede cristiana anche tra di voi è conosciuto come invincibile. E, pur senza darvi esempi di nazioni straniere da noi vinte, poiché esse sono separate da voi dal grande mare che impedisce ne abbiate notizia, considerate che la gente che vive nelle altre isole simili a questa (tanto che, quando l'aria è tersa, ben le vedete attorno a voi) è anch'essa come voi, forte, potente e valorosa, e amante della sua vita pastorizia e libera e, ciò malgrado, è stata da noi vinta e convertita ai nostri costumi e alla nostra fede, per la qual cosa sono ora al sommo della contentezza e della gloria. Solo questo scopo ci ha spinti a solcar tanto mare, quasi sconosciuto, in mezzo a mille pericoli e avversità e ad abbandonare (la qual cosa, chissà, vi parrà senza pietà) le nostre mogli e i figli e le amate sponde della nostra cara patria Spagna. Poiché, se ci fossimo accontentati solamente delle ricchezze del nostro paese, non ci saremmo esposti a tanti lavori per la salute e il beneficio vostro. Di modo che il fatto di perseguire il vostro vero bene acciocché viviate egualmente a noi (poiché così ci ordina il Dio che voi adorate sulle vette di Amagro e di Tirma) non deve essere da voi considerato in modo sinistro; tanto più che vi pregiate di avere origine di nobilissima nazione e tra coloro che vivono nelle altre isole intorno avete altissima reputazione e siete rispettati quasi come fratelli maggiori. Deciditi, quindi, o Guanarteme (dato che tra le armi sogliono avere il loro posto anche la ragione ed il consiglio dei nemici) ad essere nostro amico e concludere la pace in modo tale da lasciarci ritirare sicuri e senza danni ai nostri alloggiamenti; poiché, al contrario, la necessità, che non ci lascia altra possibilità, ci obbligherá a combattere, non più con l'intenzione che abbiamo finora avuto di non offendervi, bensí per uccidervi crudelmente ed infierir sulle vostre persone; e le armi che finora sono state con voi pietose, già grondanti di sangue, e i cuori dei miei soldati, vinti piú dalla rabbia e dal desiderio di vittoriosa vendetta che dal desiderio di pace, attendono quella decisione che, più a voi che a noi, conviene.

Il Guanarteme, che aveva ascoltato attentamente ciò che Silva aveva detto, si avvicinò ancora un poco e con gesto pacifico e con voce sonora, per essere udito da tutti, gli rispose amichevolmente in tal guisa: - Pensavamo, noi canari, per il fatto di trovarci tanto lontani da voi e dalle vostre terre, in questo piccolo angolo di mondo, circondati dalla rabbia delle superbissime onde di un tanto vasto mare come quello dal quale siam circondati, di poter vivere senza molestia da parte vostra, che già da lungo tempo siete perturbatori della quiete e dell'ozio nel quale, con tanta pace e tranquillità, solevamo vivere. Pure abbiamo presente il ricordo di tante armate che giunsero alle nostre sponde, dei fatti di guerra che con voi avemmo, dei tanti egregi canari morti o da voi imprigionati e portati in luoghi lontani e, ciò che piú di ogni altra cosa ci addolora oggi, la dolorosa morte di Artemis, nostro re, nella guerra valorosamente vinta dal vostro capitano Juan de Letancurt 12). Saranno forse le nostre colpe, poiché la debolezza è nella nostra natura di uomini e molte volte, nostro malgrado, siamo incorsi in quei peccati 13) mai visti, neppure nelle bestie più disumane. Così, al momento della necessità, invece di visitare il sacro Tirma e di chiedere aiuto a Dio, abbiamo fatto molte cose che non erano degne di noi, per cui abbiamo ricevuto un grande castigo. Di questo non è minima parte l'esser turbati da voi; poiché se ci fosse bastato avervi messo in fuga infinite volte dalle nostre coste e avervi dato la morte, e avervi molte volte imprigionato (…), avremmo potuto credere che l'ira di Dio verso di noi si fosse placata. Ma se il fatto è inevitabile e contrario alla nostra pace, chi può opporsi a tanta forza? Chi può resistere a tanta necessità? Ci rendiamo ben conto che ciò di cui ci volete persuadere è buono e giusto e onorato. E se il nostro bene vi muove a sopportare le pene e i pericoli e le morti che patite nella guerra che ci fate con tanta avversità, noi non vi saremo ingrati per tanta mercede; come in precedenza già abbiamo dimostrato a coloro che con noi si sono comportati diversamente e, invece di farci guerra e di portarci via i nostri beni e la patria, ci usarono tanta pace e amicizia da partecipare delle nostre ricchezze e delle nostre donne. Quest'ultimo passo allude ai maiorchini che vissero in Gran Canaria prima della conquista.

Poi il guanche prosegue dicendo: - Dimmi chi, anche tra di voi, può sopportare volontariamente il pesante asservimento? Da libero arrivare ad esser schiavo? Da ricco, povero? Da re, divenire vassallo? Nessuno, credo, si troverebbe, che non preferisca rischiare e perdere onorevolmente la propria vita prima di vedersi privato della dorata libertà e gettato in miseria dall'insopportabile schiavitù. Questa è la scelta che noi canari abbiamo fatto, di difendere con la vita la patria e la libertà, piuttosto che essere servi vostri e vivere sottomessi alle vostre leggi, sebbene ad alcuni appaiano buone; poiché la nostra libertá e sopravvivenza consistono solo nel mantenere i nostri costumi e la nostra fede; poiché chiunque sia nato in essa, per quanto possa sbagliarsi, pensa che sia la migliore o, perlomeno, quella che piú gli aggrada. Per caso potreste voi, forestieri, pochi e poco edotti nell'asprezza di questa terra, resistere a cotanto numero di valenti canari? Non vi ricordate di quante sconfitte avete da noi ricevuto? Tra ieri e oggi non saranno certo guarite le ferite che vi inflisse a Tirahana il re di Telde; e sono ancora fresche quelle che, un istante fa, avete ricevuto dalle nostre mani e di cui il sangue, ancora caldo, è testimone. Pensate forse di scapparci oggi, cosí immobilizzati tra le mura, a guisa di bestiame che aspetta il coltello? Vi aiuteranno forse in questo frangente gli altri vostri soldati, stanchi e malridotti, lontani molte miglia da qui? Oggi solo la morte può dare una fine onorevole ai vostri sforzi se, combattendo senza cercare la fuga, vi mostrerete tanto valenti quanto avete detto, di fronte ai tanti soldati che sono al mio seguito. Quindi, o Silva, affinché tu conosca in quale pericolo ti sei cacciato insieme alla tua gente, ti ho detto queste parole; e, sebbene tu voglia conoscere il valore e la generosità dei canari, assicuraci che farai pace con noi lasciandoci vivere liberamente come solevamo, e che ti imbarcherai e te ne andrai. In questo caso io ti lascerò andare sicuro, senza alcun danno, ai tuoi alloggiamenti, difendendo con i miei la tua ritirata perché non ti vengano ad importunare gli altri isolani. Forse un giorno, se mi darai ascolto, ti sarà utile il ricordo di questa benevolenza che voglio usarti, e apprezzerai il valore e l'amicizia di un rustico re di Galdar, come pure la decisione che prenderai in questa circostanza e che, vedi, ti conviene.

Silva, stupito di trovare tanta generosità in questo re nemico, e vinto tanto dalla cortesia quanto dalle armi, accettò di buon grado le condizioni e la pace che il re gli offriva, e si scambiarono promesse l'un l'altro di custodirla inviolabilmente. E Silva, dimostrando di non aver ancora dato al re tutta la soddisfazione che meritava, gli promise ostaggi, sebbene facesse tutto questo per assicurarsi una via d'uscita nel miglior modo possibile. Allora il re, con molta della sua gente, condusse Silva al mare, dove si imbarcò con tutti i suoi, tanto i sani come i feriti. Da lì andò a sbarcare di fronte a Tirahana, dove stava fortificato Diego de Herrera, il quale lo aspettava con gli altri capitani che avevano battuto le terre di Levante, depredando e uccidendo quanti più canari avevano potuto. Herrera, vedendo quanto poco risultato si otteneva da questa guerra e quanto forti e valorosi fossero i nemici, per non vedersi respinto e scacciato totalmente dall'isola lasciò gli ostaggi al re di Galdar e al re di Telde, con i quali fece pace, con il pretesto di dover partire entro pochi giorni con tutti i suoi soldati e che, per quel momento non aveva a disposizione le navi per poterlo fare. Mentre le cose erano cosí tranquille, e correva l'anno 1461 14), fabbricò segretamente una piccola fortezza in cima al porto di Gando, che era il punto piú comodo per la navigazione verso le altre isole. Terminando di fortificarla e di provvederla di sufficienti viveri e gente, la lasciò a carico di un suo capitano, e passò con Silva a Lanzarote e a Fuerteventura a rifornirsi di maggiori forze per poter porre fine a questa guerra. Lo spagnolo, trovandosi così fortificato e provvisto di buoni soldati, quale uomo desideroso di fama, cominciò a rompere la pace con i canari, facendo sì che i soldati saccheggiassero quanto più potevano. I canari, indignati, da quel momento in poi cercarono di uccidere i cristiani e di distruggere la fortezza, rendendosi conto di quanto sfavorevole risultasse la sua presenza. Perciò, pochi giorni dopo, usciti i cristiani a saccheggiare, furono circondati dai nemici con molto bestiame e furono catturati e uccisi tutti. Essi, senza por tempo in mezzo, si vestirono con i panni dei morti e con il bottino si diressero alla fortezza: ingannati, quelli di dentro credettero fossero coloro che stavano aspettando e apriron loro la porta e furono da essi uccisi, e la fortezza demolita, e mai piú tornò ad essere edificata, e fino ad oggi si conservano le sue rovine presso la costa. (Della guerra che fece Diego de Herrera all'isola di Canaria. L. Torriani. Capitolo XXXIX. pag. 120).

Crediamo che siano sufficienti questi esempi per dare un'idea di quale era il tono generale nel comportamento degli isolani con i loro nemici. Bisogna considerare, d'altra parte, che i dati di cui disponiamo tendono ad inclinarsi in favore dei conquistatori. Nonostante ciò, troviamo delle costanti nel comportamento degli aborigeni: il ripudio della violenza ingiustificata; la mentalità aperta e la disponibilità all'interscambio culturale, alla comunicazione. Anche se, di fronte ad una aggressione fisica o alla trasgressione di un accordo, reagivano in modo esplosivo, eruttando, come i vulcani delle isole, tutta la rabbia compressa. In ogni caso, dopo aver sopportato a lungo di essere maltrattati. Basti dire, per concludere questo paragrafo, che, se andiamo a confrontare atteggiamenti ed interessi di conquistatori e conquistati, vediamo chiaramente che essi possiedono caratteristiche opposte, non tanto in campo politico, ma rispetto a questioni di qualità umana. A questo riguardo non erano certo bei tempi per l'Europa.

LA DONNA NELL'UNIVERSO GUANCHE

Nel paragrafo precedente abbiamo potuto render ragione dell'ambiente ingiusto nel quale il guanche viveva. Sia per le condizioni di vita, che per le norme sociali oppressive. Abbiamo visto come la donna soffrisse doppiamente, così come in molte altre società, lo sfruttamento e l'emarginazione. Ciò nonostante, vi sono, nel comportamento del guanche verso la donna, alcune caratteristiche che possono essere riscattate. In fatto di leggi, esisteva una precisa normativa a Tamaran (Gran Canaria) e Achinech (Tenerife). Queste leggi davano molta importanza alla mancanza di rispetto verso le donne. Era assolutamente proibito guardare in modo sfacciato una donna per la strada o in altri luoghi poco frequentati. Non era neppure permesso parlare con una donna, se essa non voleva.

Cambiando ambito, possiamo vedere come le donne partecipassero assieme all'uomo al compito di trasmettere, generazione dopo generazione, l'eredità mitica e la saggezza accumulata nel corso della loro storia. Questi “professori” erano visti come rappresentazioni del sacro e venivano considerati capaci di predire il futuro e di praticare la magia. I Faicanes e le Harimaguadas 15), oltre ad essere fedeli al loro compito di intervenire ai rituali e, nel caso delle Harimaguadas, di trasmettere ai giovani della nobiltà le conoscenze acquisite, oltre a questo, furono senza dubbio le persone incaricate di conservare la memoria dei miti e della cultura del loro popolo.

Per evidenziare il contributo della donna nelle società guanche presentiamo una serie di miti, raccolti da fonti diverse, nei quali vien messa in risalto l'importante e riconosciuta influenza che le donne esercitarono in quelle comunità.

“Un'altra casa molto grande e dipinta si trovava nei pressi di Roma e serviva da seminario e ricovero di giovinette, figlie di uomini importanti; in essa si trovava una maestra, una donna anziana della buona società. Alle ragazze veniva insegnato a tagliare e cucire tessuti e pelli da indossare e altre cose necessarie a sposarsi e portare avanti la casa; e quando qualcuna di loro sbagliava, la maestra le chiamava tutte e le faceva mettere in cerchio, e diceva loro: “Se io fossi figlia di tali genitori - e nominava quelli della fanciulla - e avessi commesso tale dimenticanza e peccato, meriterei che mi dessero un tal castigo, e poi dava molti colpi in terra con un fascio di rami e con questo finiva… (Interruzione) piagnucolante e purificata” (A.Sedeño, in F.Morales Padrón, 1978. Pagg.375-376).

Nonostante l'interruzione nella parte finale del documento, sono evidenti i modi umanisti della maestra nell'insegnare ai suoi discepoli, in forma simbolica, quello che era giusto e quello che era sbagliato nel loro modo di vivere. Possibilmente, in una situazione simile, gli educatori europei non avrebbero frantumato la verga in terra, ma sui tremolanti posteriori dei loro pupilli. Dopo di che, oltre a lasciare l'apprendista “piagnucolante e purificato”, questi, per via dei dolorosi sussulti in sì nobile parte, non avrebbe potuto sedersi normalmente per tutto il resto di quella sfortunata giornata, senza contare che gli effetti psicologici sarebbero durati anche molto più a lungo. Gli insegnamenti di buona condotta che le Harimaguadas impartivano alle nuove generazioni, venivano proseguiti dai genitori. Questi erano soliti instradare i loro figli in una buona direzione (in particolare il rispetto e le buone maniere con il prossimo), mostrando loro degli esempi di uomini che erano ripudiati da tutti a causa del loro cattivo carattere e del loro comportamento. In seguito configuravano nei loro piccoli una guida da seguire, ponendo davanti a loro esempi di uomini buoni, che erano apprezzati e amati da tutta la comunità. Facendo un'interpretazione, possiamo supporre che il fatto di istruire il popolo guanche con tecniche educative che ripudiavano la violenza fisica come metodo di insegnamento, fece sì che il comportamento personale degli individui delle comunità guanche assumesse quel profilo umanista e quel tratto rispettoso e caloroso che è tipico di quell'atteggiamento di fronte alla vita e di fronte al prossimo.

Anche nel caso dell'insegnamento “castrense”, dove l'intenzione era mirata nell'addestrare soldati efficienti per la guerra, anche in questo caso, essi lo facevano praticando giochi di abilità, come schivare pietre e altri oggetti. I bambini destinati a diventare dei soldati venivano addestrati fin dalla più tenera età con una grande varietà di esercizi (salto, corsa, lotta, ecc.) nei quali la violenza, come metodo di insegnamento, non compariva. I bambini imparavano a lanciare le pietre e a schivarle usando palle di fango che i loro maestri gli fornivano. Più avanti, man mano che avanzavano in età e destrezza, quelle palle di fango erano sostituite da pietre e, infine, si esercitavano con frecce senza punta cercando di evitare, per quanto possibile, sfortunati incidenti. L'abilità degli aborigeni delle Canarie nel prender la mira e la loro destrezza nel lanciare e schivare le pietre passarono alla storia e furono degne di ammirazione da parte dei conquistatori.

Possiamo concludere dicendo che uno degli elementi più significativi dell'attitudine umanista di un popolo, cioè la non violenza come stile di vita, era praticato dai guanche. Anche se, è chiaro, non pienamente e non in tutta l'ampiezza del termine 16).

I miti, ad esempio i “miti origine” o quelli culturali, dei quali fa menzione il dottor Tejera Gaspar (16), rimemorando il principio delle cose, provocavano nei guanche un sentimento di unità caricato di un tono mistico. Al ricordare quei miti nelle cerimonie sacre, gli antichi canari ritrovavano le loro radici nella figura del primo antenato, di cui si serbava il culto come di un dio. Qui entra in gioco la donna, ancora una volta, come portatrice di conoscenza e benessere. Alcuni di questi antenati, generalmente donne, erano venerati come portatori di sapienza, grazie alla quale superare le condizioni avverse, togliendo un po' di sofferenza al prossimo. ”…Per molti anni non seppero accendere il fuoco; glielo insegnò, il fuoco sprigionando da due legni secchi, una donna gomera, giunta a Hierro sopra due otri piene d'aria, ed insegnò loro molte altre cose come essi raccontano…” (T.A. Marin de Cubas, 1986 p.158) Il mito precedente si riferisce all'origine del fuoco, così come fu concepito dagli antichi abitanti dell'isola di Hierro (Los Bimbaches). Questo mito, come quello che esporremo di seguito, esprime l'idea dell'apporto fondamentale della donna guanche alla sua cultura. Questo contributo femminile produsse un avanzamento decisivo sotto l'aspetto tecnologico e di qualità della vita, nella società aborigena. “Tutto quello che si riferiva all'abbigliamento canario era ben fatto e artisticamente cucito, come potrebbe esserlo se fatto da qualcuno di noi e con la maggiore abilità. La tela tessuta con foglie di palma fu tanto ammirata da coloro che la videro, che il suo inventore (la quale, secondo quanto dicono, fu una donna), meritò di essere celebrato come se fosse la novella Aracne, famosa tra i poeti”. (L.Torriani, 1978. Pag.108)

I contributi femminili non si limitano all'ambito culturale o all'avanzamento tecnologico, ma riguardano anche il campo socio-politico, come accade nell'esempio che presentiamo, anche se qui la vicenda sfocia in una guerra 17). “Anticamente, i canari conducevano una vita errante e senza capo né governo. Ogni famiglia era indipendente ed obbediva al suo membro più importante, (…). Poco tempo prima che cominciasse un nuovo mondo in questo emisfero dell'oceano, accadde che una donna di nobile stirpe chiamata Attidamana, ricca di quanto allora la pastorizia poteva concederle, venisse insultata da un capo-famiglia, essendo abituata invece ad essere onorata da tutti e tenuta nella massima considerazione. A causa di ciò, essendosi innamorata di un valente capitano chiamato Gomidafe, e accasatasi con lui, questi scatenò una tale guerra contro tutti gli altri, finché alla fine arrivò ad essere principe di tutti loro e dell'isola. Gomidafe e Attidamana ebbero due figli, Egonaiga e Bentagoihe, i quali, dopo la morte del padre, si divisero l'isola tra di loro, assumendo, ciascuno per proprio conto, l'appellativo di Guanarteme, che nella nostra lingua è come dire “re”.

Nel capitolo seguente Torriani prosegue dicendo 18): Con la pace che i canari stabilirono sotto il governo dei re, iniziarono a fabbricare case insieme e le popolazioni a riunirsi per vivere civilmente, abbandonando la vita pastorale e rustica. Si dice (come si può anche comprendere da ciò che segue) che crebbe una città di circa quattordici mila famiglie, il che sembra incredibile. Le sue strade erano precise e le case fatte con pietra secca (vale a dire senza calcina o altre cose simili), piccole, pulite e ben costruite, ma col tetto basso, come quelle dei Frigi, di cui parla Vitruvio Pollione19) (L.Torriani, 1978. Pagg.96-99).

Questa guerra può essere più o meno considerata come un momento umanista che cambiò direzione alla tendenza meccanica dell'antico ordine, il quale, visto attraverso il prisma del progresso e dell'evoluzione umana, chiaramente non aveva futuro. Tuttavia, continuiamo a credere che la vicenda non si svolse così come ce la raccontano Abreu e Torriani. Per quello che abbiamo potuto osservare, questa guerra diede direzione ad una vita sociale sradicata e smembrata. Si passò così da un'organizzazione familiare ad un'organizzazione sociale che richiedeva maggiore complessità e maggiore sviluppo delle relazioni umane. Questo avvenimento contribuì anche, in maniera determinante, ad uno spettacolare sviluppo tecnologico e ad un miglioramento della vita degli abitanti di Tamaran, molto più che nelle restanti isole. Nella suddetta Tamaran, dopo la “guerra”, fu adottata come base economica l'agricoltura intensiva di campi irrigabili ed asciutti e, come attività complementare, ma molto importante, la pastorizia. Sorsero anche le scuole di iniziazione (militare, religiosa, lavorativa), le leggi, i giudici, le carceri, le abitazioni, le città. Di sicuro, prima della “guerra” queste attività erano praticate poco e isolatamente, o semplicemente non esistevano, come nel caso dell'agricoltura intensiva d'irrigazione, delle scuole e delle città. Per certo, fintanto che mantennero un carattere errante, non furono altro che nomadi, che si alimentavano di cacciagione e di alberi da frutta, praticando il pascolo e, timidamente, l'orticoltura.

A rischio di sbagliarci, come accade in tutte le ipotesi di lavoro, riteniamo che si sia prodotta una grande rivoluzione sociale in un “breve periodo di tempo”(?) 20), propiziata da Attidamana e dalla sua discendenza. Pensiamo inoltre che questa guerra in realtà non fu tale, perlomeno non nel senso che gli dà Torriani, poiché ci rifiutiamo di credere che una “guerra” di tali dimensioni e con quelle conseguenze potesse essere originata da un semplice affronto personale compiuto da un capo famiglia dalla vita errante e con scarsi contatti con altre famiglie. Intuiamo invece, dietro tutto questo, l'intenzionalità della mitica Attidamana.

Può darsi che questi storici (i quali, c'è da credere, bevvero tutti da una fonte comune per quanto riguarda la descrizione delle isole e dei loro popoli) si confondessero e interpretassero male quanto era stato detto altrove, oppure che questo fosse già falsato.

E' altrettanto indubitabile che le vicende venivano interpretate attraverso filtri ideologici particolari e con le particolari visioni del mondo di quegli storici,dispiegando così un velo dinnanzi alla verità e tingendo l'essenza e lo spirito che i guanche davano al mito. Se questo è vero, allora il mito di Attidamana potrebbe non avere il senso che essi gli hanno attribuito. D'altronde, vogliamo credere che questi illustri signori fossero in buona fede, e supporre una certa veridicità nei loro scritti, dal momento che certe cose non c'è alcun modo né di confermarle né di smentirle. Come accade con i testi biblici, la verità e la menzogna sono una semplice questione di fede. Furono o no, Attidamana e i suoi discendenti, i precursori di una rivoluzione sociale con caratteristiche umaniste? Perché Gumidafe si prese tanti fastidi per vendicare sua moglie? Perché innalza suoni di vendetta contro ogni anima viva e non solo contro il clan che oltraggiò la sua amata? Perché questa rabbia? Forse, chissà, l'arduo compito di convincerli, in un lungo arco di tempo, della necessità di un cambiamento di costumi e di vita, fu considerato dagli antichi canari come “la grande Guerra”, a causa anche dei continui conflitti tra coloro che aderivano alle idee innovatrici e quelli contrari al cambiamento. Forse queste domande non potranno mai avere delle risposte coerenti 21) Possiamo però chiederci legittimamente: la Grande Guerra non fu piuttosto una Grande Rivoluzione?

Sottolineiamo nuovamente l'esistenza di un manoscritto al quale Galindo e Torriani si suppone abbiano avuto accesso. E che esso, a sua volta, conteneva innumerevoli errori. Perciò, è probabile che non potremo mai conoscere la verità. Essa rimarrà nelle mani della futura Storiologia, della necessaria “filosofia della storia”, presentata da Silo nel suo rigoroso lavoro “Contributi al Pensiero”. In realtà, non sappiamo con totale certezza quali sono state le vere cause del grande cambiamento di costumi propugnato dalla stirpe di Attidamana. Crediamo tuttavia (per ciò che possiamo dedurre dal testo di Torriani) che quello che accadde non fu qualcosa di fortuito e che dietro vi fosse un piano ordito da quella donna misteriosa.

CONCLUSIONI

Non si può parlare, nel caso delle culture guanche, di una corrente filosofica identificabile come umanista. Non ci sono dati sufficienti per poter affermare la sua esistenza. E' comunque un'ipotesi probabile che in Tamaran (Gran Canaria) si sia prodotta una corrente ideologica con caratteristiche progressiste che, sostenuta dalla stirpe di Attidamana, instaurò una nuova organizzazione sociale, consolidando l'unità di tutti i gruppi familiari intorno a nuovi valori e a nuove norme sociali. Questo portò in breve tempo (nel corso di una generazione, secondo quanto possiamo dedurre dai testi di Torriani) ad un avanzamento radicale nella qualità della vita di quei gruppi umani, dando risposte più organizzate ai problemi di salute e di educazione di un popolo che, fino ad allora, si era sempre disperso per l'isola in piccoli clan familiari, nomade e disorganizzato, con le dolorose conseguenze che ciò aveva comportato per lo sviluppo armonico della vita umana.

Come abbiamo potuto apprezzare nella leggenda di Attidamana, arrivata a noi attraverso le cronache degli storici L.Torriani e Fra Abreu Galindo, la trasformazione sociale fu evidente. Nonostante ciò, non possiamo affermare l'esistenza di una corrente di pensiero che abbia dato l'impulso a tali cambiamenti, come è accaduto in altri popoli. Quello di cui siamo quasi sicuri è che nell'antica Tamaran avvenne una rivoluzione sociale di carattere positivo, con il passaggio da uno stato primitivo ad un altro più avanzato. Dopo uno studio, a grandi linee, delle culture aborigene delle Canarie, possiamo affermare che gli elementi umanisti di quelle società sono scarsi, salvo alcune eccezioni che si riferiscono alle leggi in favore della donna o alla benevolenza della società di Tenerife nel ripudiare la pena di morte come punizione per l'assassinio. Per il resto, possiamo assicurare che è esistita un'attitudine personale di fronte alla vita e di fronte alle genti arrivate da altre terre, che racchiudeva in sé i requisiti minimi per poter essere considerata umanista: la tolleranza ed il rispetto per la diversità di idee; il ripudio della violenza; la disponibilità alla comunicazione; la lealtà ed il rispetto dei patti di amicizia e degli impegni assunti, quando questi erano degni di essere rispettati dal punto di vista più umano.

IL CONCETTO DI DEBITO STORICO

A nostro giudizio è necessario che esista un’etica riguardo quanto avvenuto nel nostro passato (e nel nostro presente) per valutare, in modo effettivo, gli errori commessi dalle società che ci hanno preceduto, dai nostri predecessori e dalle attuali forme di governo.

Quest’etica non ha il compito di moralizzare in modo ipocrita, definendo ciò che va male o ciò che va bene secondo una corrente di pensiero che influenza la visione di una società che, fermando il tempo, analizza il suo passato e il suo presente. Cioè, se questa morale pone al di sopra delle persone valori che si pretende di mantenere a costo della sofferenza umana, detta morale giustifica ipocritamente “il male” secondo la sua convenienza. Perché, cosa sono il male o il bene se non una realtà, vista dall’uomo, e condizionata dal dolore e dalla sofferenza che egli sente e intuisce nei suoi simili? Detto in altro modo, forse maligno non è ciò che fa soffrire, e benigno non è ciò che dà gioia al corpo e allo spirito, indefettibilmente buono in sé. No, al contrario, la funzione che deve espletare la suddetta etica non è altro che difendere la società da possibili ripetizioni, da antichi e catastrofici errori che sviarono quella società dalla migliore direzione evolutiva. Logicamente, la direzione più proficua a cui possa aspirare qualsiasi società umana è quella che sia capace di creare le condizioni basilari necessarie per superare il dolore fisico e la sofferenza mentale di tutte le persone 22).

Crediamo che il Nuovo Umanesimo sia in condizioni di stabilire le basi di questa etica. Anzi, abbiamo la ferma convinzione che l’umanesimo universalista sia quell’etica che riguarda il valore principale, cioè “l’essere umano” e le sue necessità immediate ed evolutive.

Per definire il concetto di debito storico dobbiamo osservare la necessità di precisare chiaramente in cosa consistono i danni suscettibili di essere processati in un “giudizio storico” che renda responsabili moralmente e nella pratica le istituzioni imputate, chiaramente se queste continuano a esistere e/o continuano ad avere potere sufficiente sulle culture danneggiate (tanto politicamente, economicamente o militarmente), per affrontare in questo modo non solo la parte morale della responsabilità verso le nuove e le attuali generazioni, ma anche una pratica effettiva, capace di poter essere attuata positivamente.

Quando si attenta direttamente alla sopravvivenza della vita umana e alla sua diversità etnica, razziale e culturale, quando si distrugge la possibilità di sviluppo armonico e liberamente scelto di una cultura, un’etnia o una razza, quando le istituzioni che rappresentano una cultura impongono violentemente il loro modo di vita portando all’oppressione, alla sottomissione, alla schiavitù o allo sterminio dell’altra cultura, è indubbia la loro responsabilità storica verso la cultura danneggiata. E questo dal punto di vista dei Diritti Umani e dal punto di vista del Documento Umanista, documenti a cui aderiamo apertamente.

D’altra parte non ci serve l’espediente della fredda argomentazione, che si appoggia su tesi pseudo-giuridiche basate sulla prescrizione dei delitti, secondo cui non esistevano i diritti umani in epoche tanto remote. Annullando, così, il debito contratto, o il possibile “delitto”. Tale cinismo non giustifica né discolpa i crimini commessi, ignorando l’esistenza, da che l’uomo è uomo, della dignità umana. Tuttavia, l’inquadramento di “Debito Storico” non è pensato in nessun modo dal punto di vista di “Castigo Storico” ma al contrario aspira alla “integrazione”, al “reinserimento storico” di quelle istituzioni oppressive, riportandole al rango di dignità umana accettabile, prima che queste istituzioni scompaiano.

Affermiamo che non è sufficiente che le istituzioni che hanno promosso la catastrofe, e i loro rappresentanti storici, si limitino esclusivamente a sovvenzionare economicamente, o a concedere tolleranza e beneplacito con la loro “presenza ufficiale” a opere filmate o teatrali, libri, fumetti e altre diffusioni culturali con messaggi di denuncia di tali tragedie, se in queste opere e in queste denuncie non è implicita la responsabilità e l’impegno dei rappresentanti di tali istituzioni, che tanto danno hanno causato. Non è accettabile in nessun modo, né è sufficiente, restringere l’azione compensatoria di questi discendenti storici all'applauso affettuoso, alla conclusione dell’atto pubblico o alla consegna di premi e di medaglie.

Pensiamo, e lo facciamo molto seriamente, che se questi rappresentanti sono beneficiari di un vasto lascito, accumulato lungo la storia, pieno di onori, ricchezze e poteri rispetto a molti popoli e comunità, è di indubbia coerenza morale che debbano anche assumersi la responsabilità di farsi carico degli errori commessi dalla suddetta istituzione, oppure questa deve smettere di esistere. Pertanto è lecito esigere da queste istituzioni (nel caso di Spagna e Canarie dalla monarchia spagnola ed europea e/o dallo stato spagnolo) azioni precise per ristabilire la moralità e la dignità storiche, sciogliendo i possibili lacci oppressivi che possano esistere rispetto alla nazione colpita, o ai suoi discendenti diretti, lasciando via libera al suo sviluppo. Nel caso delle Canarie una “autonomia federativa” 23) sarebbe il primo passo.

Ricordiamo che gli attuali meccanismi di potere che controllano le isole sono illegittimi dal punto di vista umanista, poiché tale potere fu contratto in modo violento. Questo potere venne acquisito praticando la discriminazione di altri esseri umani, legittimi “concessionari” delle isole, sterminando coscientemente una cultura e un’etnia, per ragioni di intolleranza e di ripudio del diverso, proprio della corrente uniformante cristiana che predominava nell’epoca.

D’altra parte è ovvio che attualmente sussiste il potere su queste terre e su queste genti, lasciato dai vecchi re ai loro eredi (La Corona Spagnola), entrambi appartenenti alle monarchie europee, essendo tale corona spagnola legataria e depositaria di tale eredità con i suoi pingui benefici, essendo vigente il potere ricevuto dai vecchi re castigliani. Insieme a questo sopravvive come promemoria de “l’appropriazione animale di alcuni esseri umani nei confronti di altri” (Silo), il lascito trasmesso dai vinti al popolo delle Canarie: “…obbedienza e sottomissione al Re di Spagna. (…)” (G.Escudero, in F. Morales Padrón).

In questo modo manifestiamo la nostra posizione, tenendo sempre presenti i nostri legami “parentali o familiari” con altre regioni spagnole, e i legami di amicizia esistenti con altre regioni del mondo.

RIFLESSIONI FINALI

Sfortunatamente attualmente, come in quegli agitati giorni medievali, l’intolleranza, la violenza e la stupidità continuano a oscurare il normale sviluppo della vita umana. Le nazioni, le culture, continuano a commettere gli stessi errori di prima, gli stessi goffi, sofferenti e meccanici errori che riuscirono a far retrocedere il meglio che abbiamo noi esseri umani, ciò che caratterizza la nostra specie, e cioè: allegria di vivere, fame di conoscenza e lavoro insieme per una giusta causa.

Nei tempi che corrono, in cui alcuni adottano posizioni disperate e violente come soluzione ai loro problemi, in questi momenti di crisi dei valori, in cui molti credono, quasi religiosamente, che la panacea sia una vita silvestre, respirando aria intensa e saltando tra fiori di papavero, in questi tempi di destrutturazione sociale e disorientamento personale, è necessario riorientarsi e dirigersi verso un mondo nuovo. Verso ciò che nasce e non verso ciò che muore o è morto.

Molti si preoccupano oggi della famosa costruzione europea basata su parametri economicisti e mercantilisti usurai. Dove si pretende una moneta unica, un mercato unico. Una lingua unica? Quello è morto o va verso la morte poiché non ha senso umano ma economico.

Oggi tutto ciò che si incammina verso l’uniformità dei modelli, e non verso il rispetto per la diversità va verso la morte. Oggi, tutto ciò che non aspiri a che nessun valore sia al di sopra dell’essere umano e che, a sua volta, nessun essere umano soffra, stando sottomesso alle condizioni di vita del resto, chi non aspira a questo si incammina verso la morte.

Anelare alla costruzione di una Nazione Umana Universale che rispetti “nella pratica” la diversità ideologica, razziale, culturale, linguistica, ecc., basata sulla solidarietà dei popoli e sul superamento delle condizioni che generano dolore e sofferenza alle genti, è l’inquadramento adeguato che dà senso all’organizzazione sociale e imprime un nuovo senso di vita. Poi verrà la moneta unica, se si vuole, o la carta di credito unica, se si vede necessario. Anche il mercato unico, o no, a seconda dell’effetto, cioè a seconda che danneggi o benefici la gente comune e la sua qualità della vita (salute, educazione, casa, e un lungo ecc…) E alla fine la lingua unica, perché no, se questo ha qualche utilità. Sicuramente, in questo senso, poiché la società, tra le altre cose, deve particolare attenzione alle minoranze, e a coloro che hanno più difficoltà rispetto al resto dei mortali, non sarebbe una cattiva idea insegnare, fin dalla più tenera infanzia, i codici linguistici dei sordomuti e dei ciechi, includendo in forma comunicativa questo settore umano minorato e isolato. Stando così le cose, con perforazioni come scrittura e segni silenziosi come lingua, ci metteremmo in comunicazione con coloro che non conoscono la nostra lingua, o la lingua sonora e universale scelta (sebbene in questo senso valga più investire in traduttori portatili, economici e sofisticati piuttosto che insegnare a tutto il pianeta la nuova grammatica); progredendo uniti, in un futuro vicino, per sentieri mai tracciati prima, riempiendo di vita e di senso l’eterno e sconosciuto universo.

Riscattare l’essenza umanista nelle diverse culture è un lavoro coesivo che servirà per cercare le cose importanti della vita e trovare definitivamente ciò che è comune a tutti e pertanto fattore unitivo e riconciliatore. Ancora una volta invitiamo chi lo voglia a tuffarsi nelle acque cristalline dell’umanesimo riscattando le radici umaniste del suo popolo, per maggiore gloria della sua comunità e della specie umana.

1) Questa organizzazione di studio e ricerca si costituì formalmente il 24/11/93 per risoluzione del Forum Umanista. Il primo Forum Umanista fu realizzato a Mosca il 07/10/93. Questi Forum Umanisti hanno come finalità l’incontro aperto del Nuovo Umanesimo a cui partecipano organizzazioni e individui per interscambiare contributi ed esperienze in base a interessi, generalmente formalizzati nelle seguenti aree: 1. Salute; 2. Educazione; 3. Diritti Umani; 4. Antidiscriminazione; 5. Etnie e Culture; 6. Scienza e Tecnologia; 7. Ecologia; 8. Arte e espressioni culturali; 9. Religiosità; 10. Raggruppamenti sociali di base; 11. Partiti politici; 12. Movimenti Alternativi; 13. Economie Alternative; ecc. (Vocabolario. Nuovo Umanesimo. 01.01.95
2) L’atteggiamento Umanista esisteva prima che fossero coniate parole come “umanesimo”, “umanista” e altre simili. Per quanto riguarda l'atteggiamento in questione, costituiscono posizione comune degli umanisti nelle diverse culture: 1. l'assunzione dell'essere umano come valore e come interesse centrale; 2. l'affermazione dell'eguaglianza di tutti gli esseri umani; 3. il riconoscimento della diversità personale e culturale; 4. la tendenza allo sviluppo della conoscenza al di sopra di quanto viene accettato come verità assoluta; 5. l'affermazione della libertà in materia di idee e di credenze; 6. il rifiuto della violenza. L'atteggiamento umanista, al di fuori di ogni approccio teorico, può essere inteso come una “sensibilità”, come un porsi di fronte al mondo umano in cui si riconosce l'intenzione e la libertà negli altri, e in cui si assumono impegni di lotta contro la discriminazione e la violenza. (Vocabolario. Nuovo Umanesimo. 01.01.95) MOMENTO UMANISTA Situazione storica in cui una generazione più giovane lotta contro la generazione insediata al potere, modificando lo schema anti-umanista dominante. Spesso questo momento viene identificato con la rivoluzione sociale. Il momento umanista acquista pieno significato se inaugura una fase in cui generazioni successive possano adattare e approfondire le proposte di fondazione di quel processo. Spesso il momento umanista viene cancellato dalla stessa generazione che era giunta al potere con l'intenzione di produrre un mutamento di schema. Accade anche che la generazione che apre il momento umanista fallisca nel proprio progetto. Alcuni hanno voluto vedere in diverse culture l'apparire di momenti umanisti, rappresentati da una persona o da un insieme di persone che cercano di istituzionalizzarli stando al potere (politico, religioso, culturale ecc.) e in modo elitario e “a cascata”. Uno degli esempi storici rilevati è quello di Akhenaton nell'antico Egitto. Quando tentò di imporre le proprie riforme, la reazione della generazione spodestata fu immediata. Tutti i cambiamenti strutturali avviati furono distrutti e ciò provocò, tra l'altro, l'esodo di popoli che partendo dalla terra d'Egitto portarono con sé i valori di quel momento umanista. Anche in culture poco conosciute in profondità, si è potuto osservare questo fenomeno rappresentato, per esempio, nell'America centrale precolombiana dalla figura del governatore tolteca della città di Tula, Topiltzin, a cui è attribuita l'introduzione dell'atteggiamento umanista definito “toltecayotl”. Altrettanto avvenne con il governatore di Chichén-Itzá e fondatore della città di Mayapán, di nome Kukulkán. E ancora con Metzahualcóyotl, a Texcoco, si osserva l'inizio di un nuovo momento umanista. Nell'America meridionale precolombiana, la stessa tendenza appare nell'Inca Cuzi Yupanqui, che ricevette il nome di Pachacútec, “riformatore”, e in Túpac Yupanqui. I casi si moltiplicano man mano che le culture sono più conosciute e, naturalmente, si mette in discussione la visione storica lineare del XIX secolo. D'altra parte, l'azione dei grandi riformatori religiosi è stata interpretata come l'apertura di un momento umanista, proseguito in una nuova fase e perfino in una nuova civiltà in cui ha finito per deviare e annullare la direzione iniziale. Nel configurarsi della civiltà globale chiusa che oggi si sta sviluppando non è più possibile un nuovo momento umanista che possa inaugurarsi “scendendo” dai vertici del potere politico, economico o culturale. Si suppone che ciò si manifesterà come conseguenza dell'aumento di entropia nel sistema chiuso e vedrà come protagonista la base sociale che pur subendo la generale destrutturazione, risulterà in grado di far crescere organizzazioni autonome minime lanciate dalle loro necessità immediate. Queste azioni precise sono oggi nelle condizioni di trasformarsi in “effetti dimostrazione” grazie all'accorciamento dello spazio, consentito dallo sviluppo tecnologico e, in particolare, dall'incremento delle comunicazioni. Il sincronizzarsi a livello mondiale della contestazione operata da una ristretta fascia generazionale negli anni Sessanta e in parte dei Settanta ha mostrato il sintomo di questo genere di fenomeni. Un altro caso è quello dei sommovimenti sociali capaci di sincronizzarsi tra punti geografici molto distanti. (Vocabolario. Nuovo Umanesimo. 01.01.95
3) Nel prossimo lavoro, che tratterà dell’Umanesimo nella cultura delle Canarie, si cercherà di verificare il lascito umanista nel comportamento del guanche che è perdurato nel popolo delle Canarie cercando di vedere, da una prospettiva umanista, il processo di trasmutazione dal popolo guanche a quello delle Canarie.
4) A Tenerife i cronisti fanno allusione all’esistenza di tre gruppi sociali: “Achicaxna” (gente sprovvista di beni o tosati secondo Alvarez Delgado); Achiciquitza (gente proprietaria o con eredità, con bestiame), e Achimencey (gente reale). Tuttavia nell’isola di Gran Canaria appaiono due fasce: nobili e popolo. Questi sembra si distinguessero per i capelli e le lunghe barbe portate dai nobili. Gli altri erano chiamati tosati.
5) Facciamo riferimento al libro dei ricercatori Rafael González e Antonio Tejera Gaspar, “Gli aborigeni delle Canarie” e a “Le culture aborigene delle Canarie”, in cui si spiega coscienziosamente questo tema del clan conico (e altri) e da cui abbiamo estratto l’informazione di questo brano.
6) “…I naturali credevano che Dio li avesse creati dall’acqua e dalla terra, tanto gli uomini come le donne, e dato loro bestiame per il loro sostentamento, e poi creò altri uomini, e siccome non diede loro bestiame, chiedendolo a Dio, questi disse loro: Servite quelli e vi daranno da mangiare, e da lì vennero i villani che servono e si chiamano Achicaxna” (A. Espinosa, 1980:42).
7) La cosa più rilevante da parte dei conquistatori è il gioco di invidie, tradimenti, ostilità e ansie di potere che tra loro stessi (Rejón-Deán Bermúdez, Pedro de Algaba e Hernán Peraza; Bethencourt-Gadifer; ecc.) creava conflitti, per dimostrare chi fosse il padrone delle isole, gioco che si trasmette al trattamento che riservavano ai guanche. Cioè i guanche erano traditi allo stesso modo in cui lo facevano tra di loro. Con la connotazione che con gli indigeni non avevano riguardi. ANEDDOTO: Armiche fu tradito da Bethencourt. Il normanno prometteva protezione contro gli assalti e le incursioni dei pirati e che nessuno avrebbe dovuto abbandonare quelle sponde con la violenza. Gli disse anche, attraverso il guanche Augeron, che l’isola sarebbe stata per sempre felice e che questi non doveva preoccuparsi poiché Bethencourt era buono e magnanimo. Armiche accetta la resa confidando nelle parole di Augeron (schiavo e interprete di Bethencourt). Ma le promesse non vennero mantenute. Poco tempo dopo la verità di Bethencourt apparve. Ridusse in schiavitù tutta la corte bimbache e i vassalli di Armiche, senza rispettare donne né bambini. Armiche e trenta isolani tra i più rappresentativi restano in potere di Bethencourt mentre il resto dei bimbache vengono divisi come bottino.
8) In questa battaglia morirono, per mano dei trecento guerrieri di Tinguaro, circa 600 spagnoli e 200 abitanti ausiliari delle Canarie (probabilmente guerrieri del mencey di Güimar alleato dei conquistatori). E’ curioso come questa disfatta passò alla memoria collettiva dando nome al paese del Massacro di Acentejo. Invece, e inoltre morendo molta più gente (soprattutto guanche), nel luogo dove vinsero la battaglia i cristiani rimase il nome del paese della Vittoria di Acentejo. Secondo quanto dicono dovuto ai gridi di vittoria! vittoria! che i soldati lanciavano vedendosi vincitori. Probabilmente se i guanche avessero scritto la storia questi paesi conserverebbero i significati dei loro nomi, invertendosi solo l’ubicazione del paese a seconda che avessero vinto o perso.
9) Nelle “fonti storiografiche” come L.Torriani, Abreu Galindo e Espinosa figura anche il detto del fratello di Bencomo più o meno come lo espone Pedro H. Hernández Borges: Espinosa, III, 5 (pag.99) in Abreu Galindo, III, 18 (pag. 318) e in L. Torriani, LII, (pag. 185). Tuttavia lo storico Viera y Clavijo in Notizie sulla storia delle Canarie (1978:132) racconta il fatto in un altro modo: “Io ho assolto l’obbligo di capitano, che è di vincere, aspetto qui che i miei soldati assolvano il loro, che è di uccidere e raccogliere il frutto della vittoria che ho dato loro”. Malgrado le contraddizioni interpretative che ci possano essere, sembra certo il fatto che gli autoctoni di Tenerife castigassero i loro nemici e i delinquenti con la carica di macellai e questo anche nel caso che i prigionieri o i condannati avessero ucciso. Ci sono casi di rei che dopo aver impiccato vari guanches sono penalizzati nel modo ricordato.
10) Lo storico Viera y Clavijo fa riferimento al fatto storico ma in modo diverso da come lo narra Cuscoy nella sua leggenda “I primi flauti che suonarono a Fuerteventura”. Viera racconta, più o meno in questi termini: Bethencourt fu ricevuto dagli abitanti dell’isola con grande allegria, arrivando dall’Europa con l’intenzione di conquistare il resto delle isole. Giunto a Fuerteventura, appena conquistata, questi sbarcò con la pompa degna di un re. Vennero celebrate feste e la musica e le vivande abbondavano. Si dice che gli abitanti del luogo erano come impazziti di piacere vedendo tutto ciò, e come conseguenza di questo gli indigeni commentarono che ora comprendevano di non essere degni di essere stati conquistati da gente tanto potente e abile, molto più dei nativi, e che se Bethencourt avesse mostrato l’ostentazione di potere a cui stavano assistendo si sarebbero arresi ai suoi piedi immediatamente. Crediamo che l’interpretazione di Cuscoy sia corretta poiché siamo daccordo nel dedurre l’importanza che i guanche davano alla musica e alle manifestazioni culturali. Noi ci chiediamo: Perché non vennero abbagliati allo stesso modo all’inizio quando apparvero con tutta l’infrastruttura bellica: i loro cavalli, i loro cannoni, i loro lanceri, i loro scudi, le spade, le bandiere al vento e le armature metalliche? Perché dei festeggiamenti, e tutto ciò che ci sta intorno, impressionano tanto il popolo degli antichi Mahoreros da fare commenti come questo, che passano alla storia, e invece non li spaventa assolutamente la spettacolare scenografia militare che i conquistatori dispiegavano?
11) Nota di Alessandro Cioranescu. Tutto l’episodio del pericolo che passò Silva con i suoi uomini coincide con Abreu Galindo, I, 26 (pagg. 123-124); solo che i discorsi che seguono sono semplici amplificazioni retoriche di Torriani, molto conformi al gusto del Rinascimento e, prima, dell’antichità.
12) Bethencourt conquistatore normanno. Conquistò le isole di Lanzarote, Fuerteventura e Hierro.
13) Nota di Alessandro Cioranescu. Il peccato a cui si allude qui è senza dubbio la legge sulla strage dei bambini, di cui si è parlato prima.
14) Nota di Cioranescu. La data che si indica qui non concorda con la cronologia di Abreu Galindo. Quest’ultimo non indica in che anno ebbe luogo la spedizione a Gran Canaria, dice che Diego de Silva arrivò per la prima volta a Lanzarote, anno 1466 (Abreu Galindo, I, 25, pag. 119). Non coincide neanche l’indicazione che la torre di Gando fu fabbricata in segreto, inoltre, secondo lo stesso autore (I, 26, pag. 129), gli indigeni aiutarono la sua costruzione.
15) “Il Faican occupava un posto preminente nella società aborigena che gli veniva dato da due fattori: primo, per la sua appartenenza alla nobiltà nel suo gradino più alto; secondo, per il carattere religioso delle sua azione come Santone o sacerdote, intervenendo negli avvenimenti pubblici più rilevanti come i riti di iniziazione, le feste relative alla raccolta o agli animali, l’organizzazione delle classi della società, in riferimento allo stato di nobiltà, l’accettazione dei nuovi nobili e come intermediario nel rituale religioso, incaricato di dirigere le cerimonie” (Antonio Tejera Gaspar e Rafael González Antón, 1987. 117) Le Harimaguadas (così si chiamavano in Gran Canaria), erano donne consacrate al culto mantenendo la verginità e dedicate all’insegnamento e all’orazione. I lavori e le cariche realizzati dalle donne che i cronisti segnalano venivano insegnati da queste “professoresse”. Vivevano in posti costruiti apposta per loro (Tamogantes), a guisa di conventi in cui tenevano una specie di clausura che potevano rompere in certi giorni per scendere al mare a bagnarsi. Era proibito, pena la morte, incontrarsi con alcun uomo. Arrivate a una certa età potevano lasciare la vita religiosa e sposarsi, contando sulla licenza del re. Bisogna indicare che nei luoghi sacri (almogaréns, in Gran Canaria), si impartiva educazione civica, religiosa e militare ai giovani. I giovani più deboli erano destinati al servizio divino. Infine, se qualche delinquente si rifugiava in questi luoghi sacri questi si sottraevano alla giustizia fintanto che permanevano in essi (questi dati si possono trovare in Tomas Marin de Cubas: Storia delle Sette Isole Canarie. 1694. E in A. Millares Torres: Storia Generale delle Isole Canarie (1883 - 1895). Rieditato in fascicoli nel 1975.
16) Sono ovvie e conosciute da tutti coloro che se ne interessano, le conseguenze psicologiche che la violenza fisica produce nell’educazione dei bambini. Pertanto rimettiamo alle innumerevoli pubblicazioni che esistono a questo riguardo e che sono alla portata di tutti. Tuttavia, e come complemento informativo, presenteremo la definizione di violenza che d’altra parte non è né completa, né sufficientemente definita dall’ortodossia lessicografica di nessuna lingua occidentale, o detto in altro modo, dalla fonte più autorizzata dell’idioma, nel caso dello spagnolo, il Dizionario della Reale Accademia Spagnola. VIOLENZA. Quando si parla di violenza, si fa generalmente allusione alla violenza fisica in quanto questa è l'espressione più evidente dell'aggressione corporale. Altre forme di violenza, come quella economica, razziale, religiosa, sessuale ecc. in varie situazioni possono agire nascondendo il proprio carattere e sfociando, in definitiva, nell'assoggettamento dell'intenzione e della libertà umane. Quando queste forme si rivelano in modo manifesto, si esercitano anche attraverso la coazione fisica. Corrispondente a ogni forma di violenza è la discriminazione. DISCRIMINAZIONE. Azione manifesta o larvata di differenziazione di un individuo o di un gruppo umano in base alla negazione delle sue intenzioni e delle sue libertà. Ciò avviene sempre in contrasto con l'affermazione di speciali attributi, virtù o valori, che il discriminatore si arroga. Questo modo di procedere si collega a uno “sguardo” (a una sensibilità o a una ideologia) oggettivante della realtà umana. (Centro Mondiale di Studi Umanisti. Alcuni termini di uso frequente nell’umanesimo. 01/01/95.
17) Anche Fra Abreu Galindo fa menzione di questo avvenimento riferendo il mito di Attidamana e di Gumidafe facendolo in termini simili. Sebbene ai figli, Abreu dia un nome diverso: Ventagahe e Egonayga Chesemedán.
18) Leonardo Torriani (1560 - 1628) fu un architetto cremonese che era stato nelle isole facendo lavori di ispezione come ingegnere militare e architetto di Filippo II. Il francescano Fra Abreu Galindo era contemporaneo di Torriani e le sue descrizioni delle isole non avevano lo stesso obiettivo iniziale delle descrizioni fatte dal cremonese. Torriani scrivendo la sua Descrizione delle isole Canarie non ambiva a fare un’opera di storico o di esploratore, come probabilmente era il caso di Abreu Galindo, ma al contrario si limitava a presentare una situazione di fatti, con l’oggetto di fondamentare i progetti di opere e riforme che gli erano stati incaricati. “A dire la verità - come dice Alessandro Cioranescu nella traduzione che fa dall’italiano - il suo lavoro così come si è conservato, è una ricompilazione tardiva, probabilmente dopo aver terminato la sua missione, delle relazioni che periodicamente aveva inviato alla Corte su ognuno dei particolari interessanti che aveva studiato nel suo viaggio di ispezione”. (Introduzione di Alessandro Cioranescu in Descrizione delle isole Canarie di L. Torriani). Entrambi, Torriani e Abreu, sono fonti storiografiche di prim’ordine.
19) Abreu Galindo, II, 4 (pag. 159) “Avevano case e lavoranti che le facevano in pietra secca, ed erano tanto puliti, e facevano le pareti tanto giuste, chiuse e diritte, che sembravano essere di malta. Le facevano con pareti basse e profonde nel suolo perché fossero calde. Sopra le coprivano con pali uniti e sopra, terra”.
20) Di seguito estraiamo il brano dal titolo “Tempo Mitico. Tempo Storico” del Dr. D. Antonio Tejera Gaspar in “Mitologia delle culture preistoriche delle Isole Canarie. - Lezione inaugurale 1991-1992 (pag. 53). In un altro punto abbiamo analizzato questo problema riferito ai guanche di Tenerife (1988), ma credo che quanto detto lì possa essere esteso al resto delle isole. Fra le questioni suscitate dalla corretta interpretazione delle fonti etnico-storiche, si trova quella della concezione metodologica applicata per la sua analisi precisa. Nel passato, la storiografia delle Canarie si avvicinò a questo problema, quello della comprensione delle Società aborigene a partire dallo studio di detta documentazione, applicandosi per esso una concezione positivista della storia. Questa corrente storiografica pretendeva di intendere i fatti relativi a queste Società allo stesso modo che se si trattasse di un altro periodo o Società Storica. Contribuiva ad esso, inoltre, il modo in cui si esponevano gli avvenimenti da parte dei diversi autori. E’ frequente in essi trovare espressioni vaghe riferendosi al tempo storico di quelle popolazioni. “pochi anni prima che si convertisse alla nostra fede” (Abreu Galindo, 1977:292); “quest’isola e la sua gente furono per molti anni soggette ad un solo re…” o “il cui nome si perse nella memoria” (A. Espinosa, 1980:40). Questa indefinizione cronologica non contribuì neanche a una corretta determinazione del tempo storico che si voleva stabilire. Pensiamo che questo modello teorico per intendere la Società aborigena in generale e questi aspetti che studiamo in particolare, sia pericolante e si renda necessario accorrere a criteri metodologici complementari che permettano un’interpretazione più appropriata. Intorno a questi problemi hanno avuto origine discussioni scientifiche sterili sulla veridicità o meno di dette fonti documentali. Non ci si nascondono neanche le difficoltà derivate dai testi che abbiamo analizzato, relativi al concetto del tempo nella sua storia, in un senso diacronico di difficile parallelismo con la concezione che allo stesso tempo svilupparono le società europee, ma allo stesso modo di queste agli inizi della loro Storia, i loro inizi si trovano circondati dalla stessa imprecisione cronologica che è comune a tutte le società primitive. In esse, il concetto del tempo si inquadra all’interno di un termine generico denominato tempo mitico, di fronte al tempo storico, che riserviamo per quelle che definiamo come Società Storiche, in senso stretto. Le difficoltà nell’applicare gli stessi criteri metodologici dello studio proprio delle Società Storiche, come abbiamo indicato, e le contraddizioni esistenti in quella stessa informazione, contribuiscono molto poco a una corretta interpretazione delle fonti per la ricostruzione della loro evoluzione storica. La storiografia delle Canarie si è manifestata apertamente divisa al momento di accettare l’informazione su questo punto, riassunta nelle fonti etnico-storiche e conosciuta soprattutto per le testimonianze di P. Espinosa, L. Torriani e Abreu Galindo. Crediamo che le posizioni ipercritiche siano conseguenza della metodologia utilizzata per la loro analisi. In primo luogo, se cerchiamo di stabilire un processo diacronico riferito alla genesi dei menceyati da una prospettiva storica, facendo uso della documentazione conosciuta, ci troviamo con il seguente panorama: nel momento della conquista di Tenerife (1494-1496), l’isola si trovava divisa in nove menceyati secondo l’informazione raccolta da P. Espinosa, Abreu Galindo e altri, potendo essere contraddetta da differenti documenti che risulterebbe prolisso enumerare qui. Ma questa informazione sembra contraddittoria se la confrontiamo con quella trasmessa da qualche cronaca di metà del XV sec., come quella del viaggiatore A. Ca da Mosto (1445), il quale parla di quattro menceyati. Con questi due riferimenti storici in date tanto diverse la contraddizione è evidente, sebbene altri autori come Zurara in data vicina a quella di A. Ca da Mosto, parli di otto o nove menceyati. Da un lato, l’accettazione storica di questa documentazione così come la conosciamo, permetterebbe di spiegare come durante quei cinquant’anni si produca un’ipotetica trasformazione nella sua organizzazione politica, della quale non conosciamo le cause, passando da quattro a nove menceyati. Non dubitiamo che questi avvenimenti si siano prodotti e in quel caso potrebbero addursi altre spiegazioni complementari, provenienti dell’analisi antropologica per aiutarci a spiegare quei fenomeni. Ma uno studio approfondito dei testi conservati sulla sua storia politica ha suggerito quest’altra lettura alternativa, soggetta come ogni ipotesi di lavoro a ulteriori revisioni critiche. Il modo di raccontare gli episodi della sua storia, almeno nel modo in cui sono stati trasmessi e le espressioni utilizzate, induce ad applicare una critica testuale diversa da quella che si ricava dall’analisi storica tradizionale.
21) Come nota di chiarimento presentiamo l’introduzione a Discussioni Storiologiche che fa il pensatore latinoamericano Mario Luis Rodriguez Cobos (Silo) in Contributi al Pensiero. Abbiamo fissato come obiettivo del nostro lavoro il chiarimento dei requisiti previ necessari per dare fondamento alla Storiologia. E` chiaro che un sapere datato sugli avvenimenti storici non basta per avanzare pretese sulla sua scientificità. Non basta neanche accompagnare la ricerca con le risorse oggi offerte dalle nuove tecniche. La Storiologia non diventerà una scienza per il solo fatto di desiderarlo, di dare ingegnosi contributi o di raggiungere informazioni sufficienti, ma solo superando le difficoltà che presentano le domande sulla giustificazione delle sue premesse iniziali. Questo scritto non tratta neanche del modello ideale o desiderabile di costruzione storica, ma della possibilità stessa del costruire storico coerente. Nel presente opuscolo non si intende quindi la “Storia” nel senso dato classicamente a questo termine. Ricordiamo che nel suo Historia animalium Aristotele descrisse la Storia come un'attività di ricerca dell'informazione. Tale attività, col tempo, si convertì nel semplice resoconto di avvenimenti successivi. E così la Storia (o Storiografia) finì per essere una conoscenza di “fatti” ordinati cronologicamente, sempre dipendente dai materiali informativi disponibili che a volte furono scarsi e altre volte sovrabbondanti. Ma la cosa più sconcertante accadde quando tutti i pezzi ottenuti grazie all'investigazione vennero presentati come la realtà storica stessa, dando per scontato che lo storico non stabilisse un ordine, non ponesse priorità nell'informazione e non strutturasse il suo racconto in base alla selezione e al filtro delle fonti utilizzate. In questo modo si arrivò a credere che il compito storiologico non fosse interpretativo. Oggi i difensori di tale posizione riconoscono alcune difficoltà tecniche e metodologiche ma insistono sul fatto che il loro lavoro è valido nella misura in cui l'intenzione è posta nel rispetto della verità storica, nel senso della non falsificazione dei fatti, sempre attenti ad evitare qualsiasi forzatura metafisica a priori. Da quanto detto risulta che la Storiografia è diventata una sorta di eticismo larvato, giustificato dal rigore scientifico, che parte dalla considerazione dei fenomeni storici come visti “da fuori”, senza tener conto del “guardare” dello storico e di conseguenza della distorsione da lui operata. Resta chiaro che non terremo conto della posizione che abbiamo appena commentato. Per noi sarà di maggior interesse un'interpretazione della Storia, o meglio una filosofia della Storia, che vada al di là del puro racconto (o la semplice “cronaca”, come ironizzava B. Croce). In ogni caso, non ci preoccuperà che tale filosofia abbia per base una sociologia, una teologia o perfino una psicologia; basterà che sia minimamente cosciente della costruzione intellettuale che accompagna il lavoro storiografico. Per finire: useremo il termine “Storiologia” al posto di “Storiografia” o di “Storia” poiché questi ultimi sono stati utilizzati da tanti autori e con implicazioni tanto differenti che il loro significato risulta oggi equivoco. In quanto al primo, il termine “Storiologia”, lo prenderemo nel senso in cui lo coniò Ortega. D'altra parte, il vocabolo “storia” (con la esse minuscola) andrà riferito al fatto storico e non alla scienza in questione. (Planeta, Buenos Aires , agosto 1989).
22) “Abbiamo detto in Contributi che il destino naturale del corpo umano è il mondo e basta vedere la sua conformazione per verificare questa affermazione. I suoi sensi e i suoi organi di nutrizione, locomozione, riproduzione, ecc. sono naturalmente conformati per stare nel mondo, ma inoltre l’immagine lancia attraverso il corpo la sua carica trasformatrice, non lo fa per copiare il mondo, per essere riflesso della situazione data ma, al contrario, per modificare la situazione previamente data. In questo divenire, gli oggetti sono limitazioni o ampliamenti delle possibilità corporali, e i corpi estranei appaiono come moltiplicazioni di quelle possibilità, poiché sono governati da intenzioni che si riconoscono simili a quelle che governano il proprio corpo. Perché l’essere umano avrebbe bisogno di trasformare il mondo e di trasformare se stesso? Per la situazione di finitudine e di carenza temporo-spaziale in cui si trova e che registra come dolore fisico e sofferenza mentale. Così il superamento del dolore non è semplicemente una risposta animale, ma una configurazione temporale nella quale primeggia il futuro e che si converte in impulso fondamentale della vita sebbene questa non si trovi in urgenza in un dato momento. Per questo, a parte la risposta immediata, riflessa e naturale, la risposta differita per evitare il dolore è spinta dalla sofferenza psicologica di fronte al pericolo ed è ri-presentata come possibilità futura o fatto attuale in cui il dolore è presente in altri esseri umani. Il superamento del dolore appare, inoltre, come un progetto basico che guida l’azione. E’ quello che ha reso possibile la comunicazione tra corpi e intenzioni diversi, in ciò che chiamiamo la “costruzione sociale”. La costruzione sociale è tanto storica quanto la vita umana, è configurante della vita umana. La sua trasformazione è continua ma in modo diverso da quello della natura perché in questa non avvengono cambiamenti grazie a intenzioni. (Il superamento del dolore e della sofferenza come progetti vitali di base. Silo, in Lettere ai miei Amici. 1991. pag. 100).
23) Questo impegno, iscritto nel concetto di “Debito Storico”, che la Monarchia Spagnola e lo Stato Spagnolo devono assumere rispetto al danno, passato e presente, prodotto alle Canarie”, questo impegno, dico, deve convertire in realtà tangibile e in un breve periodo di tempo, le maggiori quote di autogoverno delle Canarie all’interno di uno stato federativo. Le Canarie dovranno assumere poco a poco competenze totali ed esclusive in tutti gli ambiti, ad eccezione della Difesa e delle Relazioni Internazionali, che condivideranno con lo Stato. (Autonomia Federativa: Proposta per la Coalizione Piattaforma Umanista. Elezioni 28 Maggio).
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