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Origine e Destino dell'Uomo: dal contatto con il fuoco alla coscienza nonviolenta

Ruggero Russo e Alessandro Iacovella

Ciclo di Incontri “IspirataMente” Libreria Assaggi – Roma
19 giugno 2012

Introduzione Oggi abbiamo voluto tentare di ripercorrere, necessariamente ad una velocità eccessiva per la vastità dei temi e dei tempi, la storia dell'uomo e della sua evoluzione prendendo in considerazione un aspetto sicuramente diverso rispetto a quello che troviamo nei libri di storia e che a noi sembra l'abbia contraddistinto nei millenni in modo più o meno latente o più o meno manifesto. E cioè considereremo l'evoluzione dell'uomo e, in particolare, (visto che siamo nell'ambito del ciclo di conferenze sulla coscienza ispirata) della coscienza umana in relazione a quelle esperienze straordinarie che l'hanno fortemente trasformata, segnando una rottura con il passato e avviando una nuova tappa “evolutiva”. “Le esperienze, cioè, attraverso le quali lo spirito umano ha potuto cogliere la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco, dotato di significato, e ciò che è privo di tali qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato” [M. Eliade: Storia delle credenze e delle idee religiose][M.Eliade: La nostalgia delle origini]. Faremo una carrellata, una corsa a perdifiato, da un passato pre-istorico fino ai giorni nostri, facendo inevitabilmente dei grandi salti in avanti e ci soffermeremo su un momento speciale, il momento forse di maggiore rottura della storia ed in cui l'uomo ha imboccato la strada che ci ha portati fin qui: il contatto con il fuoco! E finiremo con quella che secondo noi è la massima evoluzione della coscienza (o almeno quella che ci possiamo immaginare con i nostri limitati mezzi di ora), la coscienza nonviolenta. Poiché non siamo storici, antropologi, storici delle religioni e non possiamo insegnare nulla, non ci perderemo in cose molto tecniche come nomi, definizioni, datazioni, ma proporremo, come sempre, una cosa un po' strana: dal momento che parleremo di esperienze cercheremo insieme di calarci il più possibile in quegli esseri primordiali di cui parleremo e di condividere un viaggio non intellettuale, ma un viaggio “esperienziale” considerato che di esperienza del sacro (o di momenti ispirati) ci troviamo a parlare.

Viaggio nella storia dell'umanità Ci troviamo oltre i tre milioni di anni fa (qui una datazione precisa è impossibile) e quest'essere eccezionale che ancora non possiamo chiamare uomo e che chiameremo genericamente paleantropo (per distinguerlo dagli “homini” che sarebbero arrivati successivamente) si appresta a vivere la sua prima rivoluzione: passa dalla posizione accucciata, tipica dei primati, alla posizione eretta…. e tutto cambia! Per la prima volta questo primordiale ominide si confronta con 6 direzioni (avanti, dietro, alto, basso, destra e sinistra) e si prepara ad avere sensazioni corporee del tutto nuove, a vivere lo spazio in modo nuovo. In questa atmosfera cominciano a prepararsi le primordiali condizioni favorevoli ad un grande cambiamento che ha origine dal contatto con il fuoco.

Il contatto Sono stato chiamato qui per raccontarvi un'esperienza del tutto personale, nata da una curiosità che, col passare del tempo, è diventata ossessiva necessità di risposte. Spero, con questo piccolo contributo, di poter arricchire il tema generale trattato in questa conferenza. Perchè una curiosità diventa una necessità? E perché tutto ciò si trasforma in ossessiva ricerca di risposte? Quando un argomento entra nella tua vita (spesso accade da ciò che crediamo sia una “porta secondaria”: un sogno, una chiacchiera con un'altra persona, una intuizione venuta da chissà dove) potremmo pensare che la forza di questo nuovo oggetto che ha colpito la tua coscienza aumenti a seconda di quanto influenza la tua vita, la tua quotidianità, a seconda di quanta attenzione poni su di esso e di quanto “carichi” questo nuovo oggetto. Oppure potremmo pensare che da un altro “piano” arrivino segnali che vengono colti solo quando siamo preparati a coglierli o meglio ad accoglierli. Un altro piano che, ingenuamente, immaginiamo separato dalla nostra vita, ma che ne è invece l'eterno generatore e che si manifesta a noi spesso con intuizioni, sogni, esperienze che potremmo definire “particolari” o “eccezionali”. Questo nuovo oggetto nel mio personale caso ha dato vita ad una domanda: “Perchè l'essere umano si è avvicinato al fuoco?”. In fondo, chi glielo ha fatto fare? Perchè avrebbe dovuto? E perchè proprio lui? Mi rendo conto che questo segnale, proveniente da un altro piano, oltre ad essere stato forte e “convincente”, ha trovato anche terreno fertile, trovandomi in un periodo della mia vita condito da un godurioso benessere nel mettere in discussione qualsiasi cosa data per stabilita, un periodo della mia vita totalmente invaso da uno sguardo mistico applicato alla specie umana.

L'esperienza di cui mi faccio testimone oggi con voi non è assolutamente comprovabile scientificamente e non entra nel campo della razionalità, per accoglierla non bisogna “pensarci sopra”, ma “sentirla”.

Iniziai raccogliendo più dati possibili riguardanti lo sviluppo della specie umana e la relazione tra quest'ultima ed il fuoco. Era necessario creare un campo dove poter andare ad investigare. Studiai scritti di antropologia e di paleoantropologia. Alla fine ne trassi fuori un quadro più o meno chiaro dello sviluppo della specie umana: le varie tipologie di “Homo”, gli avanzamenti, le scoperte, le modificazioni biologiche, emersero delle origini della relazione tra la specie umana ed il fuoco. Tutto è stato più o meno scientificamente provato… più o meno… pochissimo, anzi niente. Si sa che il fuoco già esisteva in natura e chiaramente non fu l'essere umano a produrlo, anche se ancora qualcuno erroneamente crede che il fuoco sia un prodotto dell'essere umano. In realtà prima lo si incontrò, poi molto tempo dopo lo si prese, poi molto tempo dopo lo si conservò, moltissimo tempo dopo si trasportò ed infine molto, moltissimo tempo dopo, si imparò a produrlo. Certo, è risaputo che il fuoco, da un certo momento in poi, iniziò ad essere parte integrante della vita umana: proteggeva dagli animali, scaldava, ci si poteva cuocere il cibo, si poterono creare oggetti di terracotta, fondere metalli, il vetro, creare ceramica e, in effetti, se ci guardiamo intorno, potremmo facilmente notare che tutto ciò che ci circonda, creato da noi, esiste grazie al contributo che il fuoco ha dato alla specie umana. Tutto ciò che ci circonda! Tutto questo, come già detto, avvenne da un certo momento in poi… da un certo momento in poi.

Ma che cosa avvenne in quel momento? Cosa accadde nel momento dell'incontro tra la specie umana ed il fuoco?

Da parte della scienza nessuna risposta, ma io avevo necessità di risposte…un bel casino, no? Mi convinsi che l'unica maniera per avere la “mia” risposta era quella di calarmi sempre di più nei panni di quell'ominide, vissuto “n” milioni di anni fa. L'unico riferimento esistente oggi , sono resti di fuoco “maneggiato”, databili a circa 1.500.000 anni fa; fuoco maneggiato, quindi già incontrato, preso e conservato. Proviamo a chiederci: ”Com'era esattamente questo ominide? Quanto era simile e quanto diverso da noi?” Per diversità e similitudini non intendo quelle biologiche cioè se fosse più basso o più alto, se avesse una capacità cranica maggiore o minore della nostra, poiché per questo esistono gli antropologi ed i paleoantropologi, io non sono né l’uno né l'altro. Mi riferisco essenzialmente a strutture di coscienza, considerando la coscienza come coordinatrice dello psichismo. Per addentrarci brevemente in questo tema vi leggerò dei piccoli estratti da “Appunti di psicologia” di Silo dove il tema è ampiamente sviluppato, con la speranza di riuscire a farvi cogliere il campo di collocazione di queste diversità e similitudini. Per evidenti ragioni di tempo saranno solo dei piccoli accenni, l'opera “Appunti di psicologia” di questo grande Maestro di vita, nella sua struttura completa, è talmente ampia e rivoluzionaria che, forse, anche 10 di questi incontri non sarebbero sufficienti per acquisirne una comprensione minima.

“Fin dall’inizio la vita si è manifestata in numerose forme. Molte specie, non essendosi adattate ad ambiente e circostanze nuove, sono scomparse. Gli esseri viventi hanno bisogni che trovano soddisfazione nel loro ambiente, il che, nell’ambiente naturale, si traduce in movimento e cambiamento continui. La relazione è instabile e squilibrata provocando nell’organismo risposte che tendono a compensare tale squilibrio e poter così mantenere la struttura che, altrimenti, scomparirebbe bruscamente. Vediamo dunque la natura vivente dispiegarsi con un’ampia varietà di forme in un ambiente dalle caratteristiche numerose, diverse e mutevoli, con alla base semplici meccanismi di compensazione rispetto ad uno squilibrio che mette in pericolo la permanenza della struttura. Nell’organismo, affinché questo possa sopravvivere, l’adattamento al cambiamento esterno implica anche un cambiamento interno. Quando tale cambiamento interno non si produce gli esseri viventi iniziano a scomparire e la vita sceglie altre forme per continuare ad espandersi in modo crescente. In ambito vitale, il meccanismo di risposta come compensazione dello squilibrio è sempre presente, con maggiore o minore complessità secondo lo sviluppo di ciascuna specie. Questo compito di compensazione rispetto all’ambiente esterno, nonché rispetto alle carenze interne, va inteso come adattamento (e, nello specifico, come adattamento crescente) ed è l’unica maniera per assicurare la permanenza all’interno della dinamica dell’instabilità in movimento.”1

e poi ancora, più avanti…

“Sarebbe sbagliato pensare che le strutture viventi cambino e trasformino solo l’ambiente, giacché tale ambiente cresce in complessità e non è possibile adattarvisi mantenendo l’individualità esattamente come è stata creata all’inizio. È questo il caso dell’uomo, il cui ambiente, col passare del tempo, smette di essere unicamente naturale per diventare anche sociale e tecnico. Le complesse relazioni esistenti tra gruppi sociali e l’esperienza sociale e storica accumulata generano un ambiente e un contesto nel quale sarà necessaria la trasformazione interna dell’uomo. In questo circolo virtuoso in cui la vita mostra di organizzarsi con funzioni, tropismi e memoria per compensare un ambiente variabile e così adattarvisi in modo crescente vediamo come sia necessaria anche una coordinazione (sia pur minima) fra tali fattori, affinché ci si possa orientare in modo opportuno alle condizioni più favorevoli allo sviluppo. Nel momento in cui nasce questa minima coordinazione ecco che sorge lo psichismo, come funzione della vita in adattamento crescente, vale a dire in evoluzione. “La funzione dello psichismo consiste nel coordinare tutte le operazioni di compensazione dell’instabilità dell’essere vivente rispetto al suo ambiente. Senza coordinazione gli organismi risponderebbero parzialmente, senza completare le diverse componenti, senza mantenere le relazioni necessarie e, in definitiva, senza conservare la struttura nel processo dinamico di adattamento”

Così è, allora, che la Vita si manifesta nel mondo. Lo squilibrio e l'instabilità sembrano essere ingredienti fondamentali per crescere, evolversi, trasformarsi. La Vita trasforma se stessa grazie a questi fattori che la spingono verso nuove possibilità, per compensare nuovi squilibri e nuove instabilità. La dinamica di tutto ciò mi pone a contatto con qualcosa di sommamente grande e potente, una retroalimentazione potenzialmente infinita e potenzialmente in grado di portare a sviluppi infiniti. La vita mostra se stessa attraverso se stessa, tutte le sue manifestazioni in questo mondo materiale e terreno hanno avuto a che fare con un ambiente esterno. Più c'era disadattamento, più grande era lo sforzo per compensare tale squilibrio, e se lo sforzo giungeva a buon fine, grande era la ricompensa. Il premio per tutto ciò era la possibilità di un cambiamento interno.

Nessun essere perfettamente adattato a questo mondo produce cambiamenti interni. Lo scarafaggio è sempre lo stesso scarafaggio, da 50 milioni di anni, perfettamente adattato, fermo, immutato!

L'essere umano è l'essere che più di tutti è disadattato a questo mondo, è l'essere che più di tutti subisce la forza travolgente degli squilibri e dell'instabilità, ma è anche l'essere che più di tutti è riuscito a superarsi, cambiando fuori e dentro di sé, configurando in sé una struttura capace di dare risposte non solo istintive, di riflesso, ma anche risposte pensate, rallentate e volte al futuro, che fanno pensare al futuro, che potremmo definire risposte differite. Tutta la struttura dello psichismo umano è configurata in funzione della risposta differita o, detto in altra maniera, è stata questa forte necessità di dare una risposta diversa da quella istintiva, necessità spinta dal compensare un forte disadattamento verso il mondo esterno, a creare le condizioni di origine ideali per strutturare uno psichismo adatto a fornire questo tipo di risposta. Andando più in profondità, riprendendo il titolo del capitolo da cui si prende ispirazione “Lo psichismo in funzione della vita”, si può affermare che lo psichismo umano, in funzione della Vita, configurandosi come necessità compensatoria di fronte al mondo, ha come sua caratteristica principale la capacità di dare risposte differite.

Tornando all'analisi delle similitudini e diversità tra quell'ominide di milioni di anni fa, prima del contatto col fuoco, e noi, specie umana appartenente al gruppo homo sapiens, mi sento di poter affermare che le risposte istintive ci accomunano, fanno parte di tutte e due le strutture di coscienza, le risposte differite ci diversificano o, per meglio dire, in lui non si erano ancora manifestate.

L'aiuto datomi dagli scritti di Silo fu fondamentale per arrivare alla risposta della mia domanda, la sua presenza, come Guida ispiratrice durante questa investigazione, fu vitale nell'aiutarmi a comprendere cosa successe a quella primordiale coscienza umana nel momento in cui si trovò per la prima volta a diretto contatto con quest'essere che noi oggi chiamiamo fuoco. Sapevo di dover andare perlomeno oltre il milione e mezzo di anni, perlomeno… considerato che in quel periodo storico c'erano già tracce di fuoco maneggiato e ciò voleva dire essenzialmente una cosa: eliminare dal mio campo di interesse tutto ciò che non riguardasse quell'epoca e quel mondo. Iniziai a passare, quindi, molto del mio tempo a diretto contatto col fuoco, ispirandomi, immaginando, sentendo e vivendo, tutto questo per alcuni mesi. Ispirarsi, immaginarsi e poi sentirsi e vivere tutto il percorso umano all'indietro, fino ad arrivare a quell'essere di milioni di anni fa, fino ad immergersi in un mondo esterno che a differenza di oggi, non veniva usato come mezzo per tradurre il mondo interno: quindi niente quadri, niente musica… Ecco, provate per un attimo ad immaginare… niente musica… non sappiamo cosa sia… la musica non è mai esistita… e mai esisterà perchè non l'abbiamo ancora immaginata… e poi facciamo lo stesso per l'architettura, ad esempio… niente architettura, finestre, pavimenti… mai esistite e mai esisteranno perchè non le abbiamo ancora immaginate… e poi niente utensili, niente forchette, bussole, computer, wireless, microfoni, fisica quantistica, libri, carta, scrittura, alfabeti, religioni, niente pasti regolari, cartine geografiche, nomi e cognomi… nessuno ha nome, non sappiamo come si chiama quell'essere vicino a noi, non abbiamo la capacità di dare nomi alle cose, niente nomi alle cose, nessuna coscienza della malattia, della morte… quello accanto a te smette di muoversi e tu non ti poni nessuna domanda, nessuna domanda sul futuro e hai un passato brevissimo alle tue spalle, brevissimo… e poi nessun fuoco, e chi lo aveva mai visto? Chi te lo aveva mai raccontato? Certo, in giro si vedeva, ma tutti scappavano, come risposta istintiva di fronte a qualcosa di sconosciuto, non configurabile ed inimmaginabile, inimmaginabile… Ecco, questa era, a grandi linee, la situazione di vita di un ominide nel nostro mondo, prima del contatto col fuoco. Ma qualcosa stava lentamente cambiando: la Vita stava agendo sul nostro mondo spinta da un'Intenzione evolutiva che tutto muove e tutto dirige, la Vita stava predisponendo le giuste condizioni di origine per questo incontro. Al fuoco serviva un essere capace di rivelarlo al mondo, alla Specie umana serviva un essere capace di farla sentire viva!

Quell'ominide era un essere da poco alzatosi in piedi sulle due zampe, con una struttura di coscienza pronta per fare un grande salto evolutivo, serviva una miccia per accenderla e quell'incontro col fuoco fu il detonatore che diede vita alla specie umana.

Cerchiamo ora di fare un grande salto indietro, immaginandoci un momento qualsiasi di vita quotidiana di questo meraviglioso essere, una giornata “tipo” in cui, in un certo momento, succede qualcosa che darà direzione al percorso della storia umana:

È giorno. Il gruppo si muove in cerca di cibo. Cercano radici, bacche, qualcosa da mangiare. Faticano a rimanere per troppo tempo in piedi, la muscolatura non è ancora adatta, uno di loro mangia e si guarda intorno, attento a non perdere di vista il gruppo. Rimanere uniti è fondamentale per la sopravvivenza, l’ominide riconosce i versi dei suoi compagni, non sono molto distanti. I suoi pensieri, se di pensieri si può parlare, sono rivolti a necessità prevalentemente vegetative. In qualche modo la tendenza del suo comportamento nel mondo è sopravvivere, fuggendo di fronte al pericolo e prendendo dove c'è da prendere. Ad un certo momento appare di fronte a lui qualcosa di sconosciuto e di inimmaginabile. In quei pochi attimi, forse pochi secondi, si scatenano una successione di eventi di portata incalcolabile. Scappa, poi si gira, non è inseguito, torna indietro e prova ad avvicinarsi, sente calore, un calore mai sentito, mai sentito così vicino, percepisce calore, ma non sa cosa sia e lo vede, vede le fiamme, lo vede, ma ancora non lo “osserva”… ancora no, manca poco.

Si ferma. Fa un gran respiro (fare un gran respiro non era per niente cosa abituale).

Quell'oggetto è irrappresentabile dalla sua coscienza limitata, ma già pronta a fare quel salto evolutivo che non ha ancora manifestato al mondo. Non è un pericolo, non posso mangiarlo né toccarlo, non è una foglia dell'albero dove poggia, non ha ombra, tutto ha ombra, questa macchia nera sul terreno sta attaccata a tutto, a tutto, da sempre! Lui non ce l'ha!

Lui chi?… Chi è?…

Di fronte a una quantità indifferenziata di stimoli, l’ominide decide di porre attenzione solo al fuoco. Non sta più solamente percependo quello stimolo ma, prestandogli attenzione, lo sta appercependo, cioè alla percezione si aggiunge l’attenzione (appercezione). E si chiede: “Chi è?” La coscienza prende intenzione e va in memoria a cercare dati: la prima evocazione!

Prende a pugni la sua testa, non comprende, non capisce cosa sta succedendo, per un attimo, un breve attimo, vede il mondo in modo nuovo, sente se stesso in modo nuovo. Sente che “è”!

Ecco la prima scintilla di reversibilità. Lo guardo e gli pongo attenzione, lo appercepisco e mi chiedo “Chi è?”. La prima domanda che il mondo ascoltò! Quella coscienza primitiva torna su se stessa, per necessità di dover riempire un vuoto, di dover rappresentare, diversamente dal solito, qualcosa che risultò irrappresentabile e innesca un meccanismo nuovo, quello della reversibilità. Questo primordiale sforzo della coscienza di uscire dalla sua meccanica ed istintiva struttura è una manifestazione evidente dell'intervento di una Grande Intenzione Evolutiva che, attraverso la Vita, dà intenzione. Qual’ è, in fondo, il senso dell'esistenza di una grande Intenzione Evolutiva, se non quello di “dare intenzione” a tutto ciò che esiste? Di avvicinare le sue innumerevoli e magnifiche manifestazioni a se stessa, dare intenzione per riconoscere l'intenzione, come un faro che indica la strada di casa ad una nave senza rotta. Dopo aver sperimentato questo, sorge necessariamente uno sguardo più umile rispetto alla Vita e al grande progetto dell'Intenzione Evolutiva e noi, come specie umana, non siamo gli unici, non siamo gli eletti, siamo stati solamente i primi.

Non fu un essere umano ad avvicinarsi per la prima volta al fuoco, ma un animale. Da questo incontro, voluto dalla Vita, nacque la Specie umana. Una coscienza animale si avvicinò a lui, una coscienza umana nacque dall'incontro.

Molto probabilmente poi scappò di nuovo e tornò al suo mondo, trasformato, però, da quel primo di una interminabile successione di primi incontri. Tanti “primi incontri” che si ripeterono una infinità di volte, ogni volta un passo in più, ogni volta sempre più vicini, come una danza di seduzione durata milioni di anni, Lui, il Fuoco, sempre pronto ad accoglierlo, e lui, quell'ominide sempre più vicino all'”Homo” e sempre più lontano dall'animale, pronto ad avvicinarsi e a riconoscere in Lui qualcosa da “conservare”, da mantenere vivo, da custodire, spinto da una intuizione grande come la Vita, mandata dalla Vita stessa, agente come operatrice attiva di quell'Intenzione Evolutiva che tutto dirige.

Divagazione sulla tecnica. Abbiamo visto che il fuoco ha acceso la vita nella specie umana e che l'uomo comincia ad avere una percezione del tempo (avanti=futuro, dietro=passato), passa più tempo a vedere le stelle e l'infinito sopra la sua testa! E' gettato in un'estensione illimitata, sconosciuta, perfino minacciosa e possiamo immaginare che inizi a sviluppare due tendenze che continueranno a caratterizzarlo per tutta la sua millenaria storia. La prima: comincia a domandarsi (nel nostro esercizio di calarci nei “panni” dell'ominide dobbiamo pensare ad un essere dotato di intelligenza e di immaginazione); comincia sicuramente a farsi domande su se stesso, la coscienza sviluppa una particolare strutturazione che è l'IO attraverso cui l'uomo comincia a distinguere se stesso dal resto del mondo e dalle cose che vede. Quest'essere comincia a percepire se stesso come diverso dalla natura. La seconda: comincia a ribellarsi all'apparente destino che, come per gli altri animali, lo assoggetta alle leggi e ai cicli di natura; l'essere umano è un essere fondamentalmente disadattato (non ha pelliccia, non ha zanne, unghie né difese naturali) e comincia perciò a sviluppare una “tecnologia”, a sviluppare mezzi che gli permettano di uscire da questo disorientamento legato a questi spazi infiniti. Da un certo punto di vista l'apice di questa ribellione al proprio destino “animale” si ha circa 1.500.000 anni fa quando l'essere proto-umano, con un gesto assolutamente sconsiderato, fa una cosa che nessun altro essere aveva mai neanche osato “immaginare”: invece di scappare si impossessa del fuoco e avvia la sua relazione privilegiata con esso. Se è consentita una breve divagazione sul maneggio delle tecniche, dobbiamo sottolineare come questo abbia un valore molto più alto del valore intrinseco e utilitaristico di una punta di pietra ben affilata (continuiamo sempre con l'esercizio di calarci nei panni dei primitivi). Sarebbe inconcepibile pensare che gli strumenti (punte, lance, utensili, monili) non siano mai stati dotati di una certa sacralità (tanto che molti episodi dei miti fondanti le varie culture sono ispirati ad essi: la lancia che fende le nuvole e squarcia la volta celeste, il martello di Thor, ecc…). La tecnologia, il maneggio del fuoco, non rappresentano soltanto dei meri avanzamenti nello stile di vita, ma produssero un universo di valori mitico-religiosi, nutrendo l'immaginazione creatrice, il processo creatore degli esseri umani: prima di poter realizzare una cosa, infatti, la si deve immaginare, le si deve dare futuro (cercando di prevedere cosa accadrà ad una lancia scagliata), si deve poter immaginare come potrebbe funzionare e come potrebbe essere migliorata, ecc. Inoltre la relazione tra uomo e tecnologia ha un altro valore importantissimo: l'uomo comincia a piegare il tempo in base alla sua volontà. Il ceramista (molti millenni più avanti) è il signore del fuoco e, mediante esso, egli attua il passaggio della materia da uno stato all'altro, il metallurgo che fonde il minerale e' come se ne accelerasse la crescita e lo sviluppo, li rende maturi in un intervallo di tempo brevissimo rispetto ai tempi della natura. La lavorazione del ferro (ma questo è solo un esempio) è una manifestazione di come l'uomo riesce ad accelerare e a diversificare i processi della natura, è il mezzo attraverso cui il tecnico riesce a fare qualcosa di diverso rispetto a ciò che già esisteva in Natura. L'uomo sviluppa nei millenni il desiderio di collaborare a perfezionare la materia, assumendosi la responsabilità di modificare la Natura, l'uomo si sostituisce al Tempo e lo farà per tutta la sua Storia. E' così che l'artigiano fa in settimane quello che la natura avrebbe impiegato millenni a realizzare nelle proprie profondità con il calore e la pressione naturale delle rocce. E' lo stesso pensiero che millenni più tardi guida, per esempio, l'alchimista che sostiene: ”il piombo e gli altri metalli sarebbero oro se ne avessero avuto il tempo” [Ben Jonson: The Alchimist]. Ed è infine lo stesso nei giorni nostri per gli scienziati che in laboratorio sviluppano la vita sintetica (il batterio sintetico), rompendo completamente con le leggi naturali e, chissà, consentendo all'umanità l'ennesimo balzo in avanti. Ma abbiamo detto che questa era una divagazione, abbiamo voluto guardare avanti nel tempo, che abbiamo ritenuto di fare per “onorare” l'importanza dell'evento - fuoco. Torniamo al nostro uomo primitivo.

La Vita e La Morte Ci troviamo ora intorno ai 300.000 anni fa e fanno la loro apparizione le prime sepolture e alcune forme di rituali funerari. In diverse regioni del mondo distanti decine di migliaia di chilometri (dalla Cina all'Europa, dal sud Africa alla Tasmania) vengono ritrovate sepolture con crani dipinti di ocra rossa e ornati di conchiglie e di altri oggetti. Probabilmente l'ocra rossa rappresenta il sangue e dunque la Vita, la sua lavorazione richiede alte temperature e di conseguenza l'utilizzo del fuoco che, di nuovo, assume un posto centrale nella “spiritualità” degli uomini del paleolitico.

Il fatto di non disperdere il corpo nell'ambiente, ma di inumarlo e “accudirlo”, di posizionarlo in buche del terreno molto spesso in posizioni fetali che rievocano di nuovo la Vita (e dunque un inizio e non una fine), il fatto di mettere nelle “tombe” oggetti di ornamento e utensili ci portano a pensare che in questo periodo della sua esistenza l'essere umano abbia cominciato a porsi domande sull'inizio e sulla fine della propria esistenza e di quella dei suoi simili e degli animali e degli oggetti di natura che vede nascere, crescere e deperire. E in molti popoli sicuramente si sperimenta che non c'è una fine, ma un passaggio trasformatore e ne sono prova il fatto che si cominciano a trovare, già in questa epoca remota, alcune sepolture che richiamano alla vita più che alla morte.

Data l'ampiezza del tema rimandiamo all'anno prossimo per un incontro ad hoc sull'argomento.

I santuari e le prime forme di religione Facciamo un altro balzo di centinaia di migliaia di anni. Ci troviamo ora intorno ai 30.000 anni fa e fanno la loro comparsa le grotte decorate. Quelli che vengono definiti dei tesori dell'arte paleolitica, ma che in realtà sono molto di più di “paleo-musei”, sono dei veri e propri santuari. Ne abbiamo parlato diffusamente nel primo dei nostri incontri perciò non ci soffermeremo a lungo, ma è assolutamente doveroso un cenno all'esperienza che possiamo immaginare sia alla base di queste “opere d'arte sacra” dell'uomo. Le caverne decorate non sono utilizzate con scopi altri, non come abitazioni né come luoghi di sepoltura, inoltre le pitture sono ubicate in zone remote (a volte anche in camere a chilometri di distanza dall'ingresso), in zone buie e di difficile accesso. L'uomo supera difficoltà enormi per poter lasciare quelle testimonianze sulle pareti. Proprio per questo gli studiosi le considerano dei veri e propri santuari, luoghi dedicati in cui secondo alcuni, forse, si celebravano i primi riti di una religione primordiale. Non vengono rappresentati riti propiziatori per la caccia o per altre attività quotidiane, ma in qualche modo nel suo complesso, il pensiero dell'uomo e le sue più intime ideologie. Qualche cosa di prezioso e “degno” di essere impresso e dunque tramandato. E' un opera che guarda al futuro e che “celebra” il grande tema del paleolitico che non ha a che fare con dei, dee, divinità e potenze ma con qualcosa di molto più immediato: la Vita.2

I Miti “Questo è il rapimento di quegli esseri non compresi nella loro intima natura, grandi poteri che hanno fatto tutto ciò che è conosciuto e ciò che è ancora sconosciuto. Questa è la rapsodia della natura esteriore degli dèi, dell’azione vista e cantata da esseri umani che hanno potuto porsi nell’osservatorio del sacro. Questo è ciò che è apparso come segno stabilito nel tempo eterno capace di alterare l’ordine e le leggi e il povero senno. Ciò che i mortali hanno voluto che gli dèi facessero; ciò che gli dèi hanno detto per bocca degli uomini.” Non parliamo ancora di religioni, dunque, ne' di divinità, ma della celebrazione del più grande mistero per gli esseri primitivi, la Vita appunto. Facciamo un salto di oltre 20.000 anni e cominciamo ad incontrare quei racconti mitici che sarebbero poi stati alla base delle religioni e che avrebbero segnato e formato le caratteristiche dei popoli e i cui riflessi, in qualche modo, arrivano a segnare le culture dei giorni nostri. L'uomo nel suo percorso evolutivo alza lo sguardo, approfondisce le domande, assottiglia gli interrogativi e comincia a interrogarsi sull'esistenza e sul cosmo, ma non solo, comincia a farsi domande più profonde, ma anche a fare esperienze più profonde, di “contatto” con qualche cosa di potente, immortale, esistente da sempre che in qualche modo deve sperimentare anche in se stesso. L'essere umano sicuramente sperimenta qualche cosa che trascende la sua esistenza umana, la sua limitatezza e finitudine, attraverso esperienze estatiche trova il contatto con qualche cosa di totalizzante e traduce questa rivelazione interiore che colpisce come il fulmine in un racconto sacro che svela misteri e che dà la risposta a molti interrogativi degli uomini: come sono nati l'universo e l'uomo, come hanno avuto origine gli astri e la terra, le piante e gli animali e spiega come si sono formate le società civili con l'aiuto degli eroi. Nascono i Miti, i sistemi di ideazione più antichi che hanno avuto un impatto tanto profondo su culture e civiltà per millenni perchè traduzioni di “esperienze”, esprimono verità assolute perchè raccontano una storia sacra cioè una rivelazione che è avvenuta all'alba del Grande Tempo, nel tempo sacro degli inizi. Essendo reale e sacro, il mito rappresenta cioè un modello e una giustificazione degli atti umani. Il mito è una storia vera che si è data all'inizio dei tempi e che delinea i connotati delle culture che sulla base di quello si sono sviluppate, ma soprattutto esprime tendenze profonde connaturate all'essere umano. Il mito dell'albero Sacro che si ritrova in numerose culture in tutto il mondo, altro non è che la traduzione simbolica dell'aspirazione sempre presente dell'uomo di ritornare a congiungersi con il divino. “Il mito è un testo sacro; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini […] È dunque sempre il racconto di una “creazione”: si narra come qualcosa è stato prodotto, come ha cominciato a essere” 3

Il mito rappresenta “la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfare profondi bisogni religiosi, esigenze morali, esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguarda e rafforza la moralità; garantisce l'efficienza del rito e contiene regole pratiche per la condotta dell'uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo.” (Bronislaw Malinowski) Il mito è, dunque, il discorso, la storia che si è narrata sull'esistenza di esseri antropomorfi, spesso immortali ed onnipotenti, che vissero avventure e compirono azioni fantastiche, interessandosi a ciò che avveniva tra i mortali e modificando il mondo con il loro intervento. I miti rivelano l'ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l'estate e l'inverno, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. Poi l'esperienza che ne è alla base e che tanto fortemente ha impressionato il popolo per generazioni si diluisce in riti, gerarchie che rimangono a volte per millenni dando vita alle religioni. Non ci interessa qui continuare oltre ad approfondire perchè non ne sappiamo abbastanza e perchè a questo punto con lo sviluppo delle grandi religioni siamo arrivati ai giorni nostri e, dunque, concludiamo con uno sguardo al futuro immaginandoci ciò che accadrà (che potrebbe accadere).

Una coscienza nonviolenta Ci avviciniamo ai giorni nostri e a quello che ci immaginiamo o aspiriamo che sia il prossimo passo evolutivo: quello della configurazione di uno stato di coscienza nonviolenta. Introduciamo il tema continuando a mettere bandierine sulla nostra linea del tempo in una sorta di Genealogia della Nonviolenza, presentando cioè alcune delle figure che nella storia appaiono nell’albero genealogico del movimento nonviolento. Scorrere le loro idee ci aiuta ad entrare in contatto con il processo della scelta nonviolenta e ci permette di cominciare ad intuire i semi o i germogli di quello che pensiamo o speriamo sarà.

Zarathustra Tra il 1000 e il 600 AC in Persia, in un contesto caratterizzato da un pantheon di tante divinità, il giovane Zaratustra iniziò a predicare che c’era un solo vero Dio e Salvatore, Ahura Mazda (Signore della Saggezza). Questo produsse la nascita dello Zoroastrismo come religione. Aprì la strada alle tradizioni monoteiste dei nostri giorni: Giudaesimo, Cristianesimo e Islam. Attraverso i Parsi ebbe pure influenza sull’Induismo e il Buddismo. I suoi insegnamenti inclusero: “Pensa bene, agisci bene, e parla il vero”. Un’etica di responsabilità personale: “C’è un solo modo di combattere il male, incrementando la bontà, e un solo modo di combattere contro l’oscurità, espandendo la luce. Allo stesso modo, solo ampliando l’amore e non lottando e non opponendoci l’un l’altro possiamo eliminare l’odio e l’inimicizia”. Jainismo: Ahinsa (nonviolenza) Il Jainismo nacque in India più o meno nello stesso periodo del Buddismo. Come il Buddismo enfatizza la nonviolenza, ma possiamo affermare che la nonviolenza è il principio di base del Jainismo. Gautama Buddha, India Nato Principe e scosso nel vedere così tanto dolore sotto forma di vecchiaia, malattia e morte, elaborò la filosofia della nonviolenza, l’amore universale e la pace 2500 anni fa. Il Talmud (Testo Sacro Ebreo) “Per la causa della pace si può mentire, ma la pace non deve mai essere una menzogna”. “Chiunque distrugga una sola vita è altrettanto colpevole come se avesse distrutto il mondo intero; e chiunque riscatti una singola vita guadagna tanto merito come se avesse riscattato il mondo intero”. (Questo passaggio è scritto anche nel Corano islamico). La fede Baha “Do incarico a tutti voi che ognuno di voi concentri tutti i pensieri del proprio cuore nell’amore e nell’unità. Quando appare un pensiero di guerra, opponetegli un pensiero di pace più forte. Un pensiero di odio deve essere distrutto con un pensiero d’amore più potente. I pensieri di guerra portano distruzione a ogni armonia, benessere, riposo e felicità. I pensieri d’amore sono costruttori di fraternità, pace, amicizia e felicità”. Abdu’l-Baha Leone Tolstoy (1828 –1910), Russia Novellista russo, riformatore, pacifista e pensatore morale, notevole per le sue idee sulla resistenza nonviolenza. Nacque come aristocratico, ma rinunciò ai suoi privilegi. Le credenze cristiane di Tolstoy erano basate sul Sermone della Montagna e, in particolare, sui commenti relativi al porgere l’altra guancia, che egli vide come una giustificazione del pacifismo. Credeva che un Cristiano dovesse guardare dentro al proprio cuore per trovare la felicità interna, anziché cercare fuori, nella chiesa o nello stato. La sua credenza nella nonviolenza di fronte all’oppressione è un altro attributo specifico della sua filosofia. Attraverso la diretta influenza di questa idea su Mohandas Gandhi, Tolstoy ha avuto dunque un’enorme importanza per la storia della nonviolenza. Mohandas K Gandhi (1869 - 1948), India Propose regole di resistenza nonviolenta: 1. Non colpire chi ti colpisce (nessuna vendetta) 2. Sopportare il dolore personale e, se necessario, la morte 3. Esprimere l’amore e il perdono verso l’oppressore 4. Non arrecare intenzionalmente alcun danno né umiliazione all’oppressore, bensì coltivare il desiderio di riconciliare le differenze. Aldo Capitini, Italia Fu molto attivo nella propaganda anti-fascista. Scrisse un libro dove sottolineò le infinite potenzialità insite in ogni persona comune, in cui una grande esperienza di liberazione può iniziare a partire da un processo interiore, anche di fronte all’oppressione di una società negativa; una dichiarazione peculiare di questo periodo è: “Dio non è una verità, Dio è scelta”. “La domanda fondamentale non è la conoscenza di un metodo nonviolento, ma avere l’aspirazione, essere aperti allo spirito della nonviolenza”. Martin Luther King, USA Studiò gli scritti di Mahatma Gandhi e comprese che i metodi gandhiani di resistenza nonviolenta erano i corretti strumenti per ottenere i diritti civili da parte delle minoranze povere. In tutte le sue lettere e i suoi discorsi si evidenzia come l'elaborazione di metodologie di lotta nonviolente e l'azione politica sono accompagnate da una profonda esperienza spirituale e una profonda Fede. Mario Rodriguez Cobos, pseudonimo Silo, Argentina Uno scrittore e pensatore argentino che, come risposta alla violenza crescente nel mondo lanciò nel 1969 un movimento nonviolento i cui principi sono alla base della idea che muove il CSU: Ubicazione dell’essere umano come valore e preoccupazione centrale; Affermazione dell’uguaglianza di tutti gli essere umani; Riconoscimento della diversità personale e culturale; Tendenza allo sviluppo della conoscenza al di là di ciò che è accettato come verità assoluta; Affermazione della libertà di idee e di credenze; Ripudio di ogni forma di violenza.

Abbiamo visto che ci sono state grandi rivoluzioni e le abbiamo analizzate a partire da quelli che ci sono sembrati gli aspetti più profondi dalla coscienza umana, a partire da esperienze straordinarie che hanno espresso una necessità innata/primordiale di contatto con qualche cosa di “superiore”. Salti evolutivi affascinanti che disegnano una spirale ascendente che è il simbolo dell'evoluzione umana, che gira sempre e cresce e sale verso qualche cosa che possiamo solo immaginare (o auspicare). Nei millenni l'uomo è stato protagonista di grandi avanzamenti in vari campi delle tecniche, delle arti, della scienza; è stato protagonista di periodi straordinari in cui nei diversi angoli del mondo hanno “convissuto” saggi e “santi” come il Buddha, Confucio, Lao Tze, Platone, Socrate che sicuramente hanno portato luce al mondo ed hanno fatto avanzare con salti la specie umana (il pensiero umano).

Nonostante questo non è cambiato molto dal periodo in cui accendevamo il fuoco con la selce e la pirite, viviamo in un'epoca preistorica. Siamo ancora nella preistoria della storia umana, nonostante la tecnologia e gli avanzamenti nei diversi campi. E un segno chiaro di questa situazione sono le manifestazioni di violenza personale e sociale. Sembra un assurdo che le persone si uccidano ancora tra loro. E sembrano un assurdo le espressioni violente nel campo psicologico, religioso, economico, sociale, ecc.

Ma se non si percepisce il momento preistorico nel quale viviamo, sarà difficile disegnare e diffondere le aspirazioni possibili in questo campo e in questo momento.

Nel libro “Appunti di Psicologia” Silo si riferisce a questo argomento dando un'interpretazione estremamente interessante e al contempo delineando quello che potrebbe essere il prossimo passo dell'evoluzione della coscienza umana:

“La coscienza può strutturarsi in forme differenti, variando sotto l’azione di stimoli puntuali (interni ed esterni) o in base a situazioni complesse che operano in modo non voluto, accidentale. La coscienza è “presa” in una situazione in cui la reversibilità e l’autocritica rimangono praticamente annullate.” Abbiamo visto in tutta questa sequenza di incontri come l'ispirazione, molto spesso è come se irrompesse in meccanismi e livelli abituali agendo, a volte, in modo meno evidente come “sottofondo” della coscienza. Per questo quando parliamo di coscienza ispirata parliamo di un vero e proprio stato di coscienza. Ed allo stesso modo anche “l’angoscia, la nausea, il disgusto e altre configurazioni possono manifestarsi improvvisamente o restare come sottofondo mentale più o meno prolungato. Esemplificando: quando, accidentalmente, sollevo una pietra e nel farlo scopro un brulichio di minuscoli insetti che potrebbero salirmi sulla mano, che potrebbero invadermi, provo repulsione nei confronti di questa vita informe che mi aggredisce. Registro anche una sorda avversione quando percepisco qualche cosa di appiccicoso, umido e tiepido che avanza verso di me. Ma la reazione immediata va ben oltre il riflesso motorio che risponde al pericolo: è un qualcosa che mi coinvolge visceralmente provocando un rifiuto che può arrivare fino a una reazione di disgusto, a un conato di vomito, a una salivazione eccessiva in bocca e allo straordinario registro che la distanza tra me e l’oggetto, o tra me e la situazione disgustosa, si è “accorciata”. Tale accorciamento dello spazio nella rappresentazione mette l’oggetto in un tipo di esistenza che gli permette di “toccarmi” e “introdursi” in me, suscitando il conato di vomito come rito di espulsione dal mio intracorpo. L’“accorciamento” è ben poco reale, come per altro la reazione di vomito che gli corrisponde. Ecco allora che la relazione tra l’oggetto disgustoso e la risposta del conato assumono caratteristiche proprie che esulano dagli oggetti reali in gioco. Si trasformano in un rituale in cui oggetto e atto formano una struttura peculiare, la struttura del disgusto. Questa configurazione accidentale della coscienza capita anche di fronte a un oggetto moralmente o esteticamente ripugnante, come nel caso di un romanzo infarcito di trovate artificiose, di giochi di parole, di tiepido sentimentalismo, sdolcinato e carico di vitalità diffusa. Tutto ciò finisce per provocare una difesa istintiva, tesa ad evitare l’“invasione” profonda del mio corpo. Queste strutture di coscienza pregiudicano la mia unità influendo negativamente non solo sulle mie idee, emozioni o reazioni motorie, ma su tutta la mia struttura somatica”.

Credo che a questo punto sia opportuno fare una piccola digressione. È possibile prendere in considerazione configurazioni di coscienza avanzate nelle quali qualsiasi tipo di violenza provocherebbe ripugnanza, con le corrispondenti reazioni somatiche. Tale strutturazione di coscienza nonviolenta potrebbe arrivare a radicarsi nelle società come una profonda conquista culturale; essa andrebbe ben oltre le idee o le emozioni che si manifestano ancora debolmente nelle società attuali, per cominciare a far parte del tessuto psicosomatico e psicosociale dell’essere umano.

Qui si parla della nonviolenza come una conquista culturale profonda, che sta ancora nel futuro, dove già non si rifiuterà l'argomento della violenza in modo ideologico o emotivo come oggi, ma che sarà il corpo stesso a registrare rifiuto, il corpo stesso registrerà ripugnanza senza bisogno di nessuna ideologia. La nonviolenza, soprattutto, è una esperienza di vita e, d'altra parte, questa esperienza non è indipendente dal momento storico.

Si parla anche di un correlato dove si relazionano l'aspetto psicosomatico e quello psicosociale dell'essere umano. È dire che basicamente si tratta di una struttura psicosociale dove l'individuo e l'insieme sociale sono un correlato.

Quindi: quale possiamo immaginare potrà essere il prossimo salto della coscienza umana? Quale immagine possiamo presentare e conformare nei nostri cuori che possa aprirci verso il futuro e generare le migliori condizioni per questo salto ulteriore?

La “nascita” di un essere nonviolento, sarà possibile solo riconoscendo la violenza che è ancora presente in noi, come retaggio di una cultura animale e preistorica. Vale a dire che la nonviolenza, oggi, può costituirsi come aspirazione. E costruire questa aspirazione non è qualcosa di secondario o qualcosa che si raggiunge naturalmente. C'è bisogno di riconoscere sperimentalmente la violenza e sperimentalmente riconoscere questa aspirazione in ognuno.

Ogni essere umano ha una visione del mondo prestabilita nella “testa” che potremmo definire come cultura o trasfondo psicosociale (per esempio in Italia anche un ateo o un laico non è esente dalle influenze profonde dell'azione di 2000 anni di Cristianesimo). Che lo si riconosca o meno oggi viviamo in una cultura che di base è violenta alla radice. Quando dico di riconoscerla, parlo di poter contare su di una esperienza diretta di ognuno che ci permetta di “riconoscere” o percepire chiaramente il suo proprio sguardo o realtà individuale culturale, che nella maggior parte dei casi non è solo individuale, ma anche epocale e di insieme con un tipo di società in un momento storico.

Se si riconosce questa esperienza, si apre anche la possibilità di aspirare a qualcosa di nuovo e inizia la fine della lotta con se stessi.

Sempre citando Silo nel libro Umanizzare la Terra si esprime bene quello che abbiamo detto fin qui:

Ogni mondo a cui aspiri, ogni giustizia che invochi, ogni amore che cerchi, ogni essere umano che vorresti seguire o distruggere, esiste anche dentro di te. Tutto quello che cambierai in te, cambierà il tuo orientamento nel paesaggio in cui vivi. Di modo che se hai bisogno di qualcosa di nuovo, dovrai superare il vecchio che domina dentro di te. E come lo farai? Comincerai a comprendere che anche se cambi luogo, porti con te il tuo paesaggio interno.

La nonviolenza è una sensibilità e il prossimo passo comincia, anzi è cominciato, con la costruzione di questa degna aspirazione che aspetta di essere risvegliata nel cuore di ognuno di noi.

produzioni/origine_destino.txt · Ultima modifica: 2013/01/29 17:36 da fulvio