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Annuario del Centro Studi Umanista Mondiale (1994)

L'UMANESIMO NEL PENSIERO CLASSICO MUSULMANO di Artur Sagadeev

Istituto Latinoamericano di Mosca, 24 novembre 1993

L'epoca della cultura musulmana classica coincide con il periodo del dominio del teocentrismo delle religioni abramiche nelle civiltà del Mediterraneo: periodo che molti, seguendo gli umanisti del Rinascimento, caratterizzarono, e che alcuni continuano a caratterizzare, come l'epoca buia del medioevo.

Tuttavia il teocentrismo delle religioni abramiche non era in contrapposizione assoluta con l'orientamento antropocentrico dell'umanesimo. Le religioni rivelate si manifestavano all’essere umano e - in forma di immagini metaforiche, in forma simbolica - gli trasmettevano norme per le relazioni interpersonali, valori e ideali ai quali la società umana aspirava. Cosicché lo stesso essere umano doveva decifrare simboli e metafore di queste religioni in modo corrispondente al ritmo della sua autocoscienza in continuo sviluppo. Il grado di umanizzazione dell'essere umano dipendeva, perciò, dall’essere umano stesso, dalle condizioni da lui create per scoprire la potenza umanista della cultura formatasi nel seno di questa o quella religione; dipendeva dal livello di corrispondenza di queste condizioni con gli interessi e le preoccupazioni, in continuo mutamento, dello stesso essere umano.

Il tratto caratteristico dell'Islam consisteva nel fatto che questa religione non prevedeva nessun intermediario tra Dio e l'Essere Umano. L'Islam non conobbe né chiesa, né clero strutturato gerarchicamente e territorialmente, né alcun organo istituzionale che promulgasse decisioni obbligatorie per tutta la comunità relativamente ai motivi di divergenza sui principi fondamentali dell'essere o della collocazione dell'essere umano nel mondo. Tali questioni potevano risolverle i musulmani per proprio conto; a condizione, ovviamente, che le loro decisioni non fossero contrarie ai dettami dei testi sacri. In pratica ciò significava la possibilità di un'interpretazione simbolico-allegorica di questi testi. E proprio a questo metodo ricorsero i rappresentanti delle tre correnti principali del pensiero musulmano medievale: Ilm-al-Kalam, la teologia filosofica; la filosofia, ovvero scienza improntata ai modelli ellenici del filosofare; e il sufismo, il misticismo musulmano.

L'infrastruttura dell'umanesimo nel mondo musulmano era determinata dallo sviluppo delle città e della cultura delle città. E’ possibile giudicare il grado di urbanizzazione di questo mondo dai seguenti dati: nelle tre città più grandi del Savad - vale a dire della Mesopotamia del sud - e nelle due città più grandi d'Egitto viveva quasi il 20% della popolazione complessiva. Nei secoli VIII e X la Mesopotamia e l'Egitto superarono, per percentuale di abitanti di città con popolazione superiore a centomila ciascuna, i paesi dell'Europa occidentale del XIX secolo quali i Paesi Bassi, l'Inghilterra, il Galles o la Francia. Secondo calcoli molto accurati Baghdad in quel tempo contava 400.000 abitanti, e la popolazione di città come Fustat (che divenne poi Il Cairo), Cordoba, Alessandria, Gufa e Bassora oscillava fra le centomila e le duecentomila persone. La concentrazione nelle città delle grandi risorse derivanti dal commercio e dalle imposte determinò la nascita di una classe notevolmente ampia di intellettuali medievali, una dinamizzazione della vita spirituale e la fioritura della scienza, della letteratura e dell'arte.

Al centro dell'attenzione era l'essere umano, sia inteso come genere umano che come personalità unica. Va sottolineato che il mondo musulmano medievale non conobbe una divisione della cultura in cultura urbana e cultura antagonista a quella degli abitanti delle città quanto ad orientamento assiologico, divisione presente in Europa fra gli abitanti dei monasteri e quelli dei castelli feudali. Nel mondo musulmano i portatori dell'educazione teologica e i gruppi sociali analoghi a quelli dell’Europa feudale vivevano nelle città, e sperimentavano la grande influenza della cultura formatasi in seno agli abitanti delle città musulmane appartenenti alla classe agiata.

Gli orientamenti assiologici degli abitanti delle città musulmane appartenenti alla suddetta classe possono essere giudicati, in base al gruppo di riferimento che volevano imitare, quale incarnazione delle caratteristiche ineludibili di una personalità illustre e ben educata. Tale gruppo di riferimento era formato dagli Adibì, gente di vasti interessi umanitari, ricca di conoscenze e con un alto senso morale. L'Adab, ovvero il complesso delle qualità proprie di ogni Adib, comprendeva gli ideali di comportamento del cittadino e del cortigiano, la raffinatezza e il senso dell’umorismo; per via della sua funzione intellettuale e morale Adab era sinonimo della parola greca παιδηια (paidèia) e della latina humanitas. Gli Adibi incarnavano gli ideali dell'umanesimo e allo stesso tempo erano divulgatori di idee umaniste che, a volte, venivano espresse in forma di sentenze lapidarie: “L'uomo è problema dell'uomo”; “Per colui che attraversa il nostro mare non c’è altra riva che non sia egli stesso”. L'insistenza sul destino terreno dell'essere umano era tipica dell'Adib e lo conduceva a volte allo scetticismo religioso nonché alla comparsa, tra le sue fila, di persone superficiali che trasformavano in una moda l’ostentazione del proprio ateismo. Adab inizialmente indicava l’etichetta propria dei beduini, ma acquistò la sua perfezione umanista grazie al fatto che il Califfato, per la prima volta dai tempi di Alessandro Magno, si trasformò nel centro di interrelazione tra differenti tradizioni culturali e nel nucleo fondante di differenti gruppi confessionali, unendo così il Mediterraneo al mondo indo-iraniano.

Nel periodo di massima fioritura della cultura musulmana medievale, l'Adab da una parte andò incontro all'esigenza di conoscere la filosofia ellenica antica e dall'altra fece propri i programmi educativi elaborati dagli studiosi greci. Per la realizzazione di tali programmi i musulmani disponevano di enormi possibilità: basti dire che, secondo calcoli di specialisti in materia, nella sola Cordoba si concentravano più libri che in tutta Europa, fatta eccezione per al-Andalous. La trasformazione del Califfato in centro di influenze reciproche con altre culture, in luogo di pratica della mescolanza tra differenti gruppi etnici, andava contribuendo alla formazione di un nuovo elemento dell'umanesimo: l'universalismo, inteso come idea dell'unità del genere umano. Dal punto di vista della realtà oggettiva va detto che alla formazione di questa idea si accompagnava il fatto che le terre abitate dai musulmani si estendevano dal fiume Volga a nord fino al Madagascar a sud, e dalla costa atlantica dell’Africa a occidente fino alla costa pacifica dell’Asia ad oriente.

Sebbene con il trascorrere del tempo l'impero musulmano si disintegrò, e i piccoli stati formatisi sulle sue rovine finirono per diventare simili ai possedimenti dei successori di Alessandro Magno, i fedeli dell'Islam vivevano uniti da una sola religione, una sola lingua letteraria comune, una sola legge e una sola cultura, e nella vita quotidiana comunicavano ed entravano in rapporto reciproco con valori culturali di differenti gruppi confessionali molto diversi fra loro. Lo spirito dell'universalismo era dominante nei circoli scientifici e nelle riunioni (madjalis) in cui si incontravano musulmani, cristiani, ebrei e atei che condividevano interessi intellettuali comuni e arrivavano dai diversi angoli del mondo musulmano. Li avvicinava quella stessa “ideologia dell'amicizia” che già un tempo aveva unito le scuole filosofiche dell'antichità come quella degli stoici, degli epicurei, dei neoplatonici, e che nel Rinascimento italiano aveva dato vita al cenacolo di Marsilio Ficino. Sul piano teorico i principi dell'universalismo erano già stati elaborati nel contesto del Kalam, e in seguito divennero la base della concezione del mondo tanto per i filosofi razionalisti quanto per i mistici sufi.

Nelle discussioni organizzate dai teologi Mutakallimiti (i Maestri dell'Islam), i cui partecipanti rappresentavano differenti confessioni, era di regola sostenere l'autenticità delle proprie tesi non facendo riferimento ai testi sacri, poiché questi erano privi di fondamento per i rappresentanti delle altre religioni, bensì basandosi esclusivamente sulla ragione umana. La ragione umana, e non l'arbitrarietà divina: così insegnavano i Mutakallimiti, i quali affermavano che il libero arbitrio serve da criterio per distinguere tra il bene ed il male. Il culto della ragione, proprio dei Mutakallimiti, che travalica le differenze confessionali, fece sì che al proprio interno potessero nascere pensatori dell’importanza di Ibn Ar-Ribandi, il quale negava valore a tutte le religioni basate sulla rivelazione divina. Ibn Ar-Ribandi sosteneva che se le dottrine trasmesse dai profeti agli esseri umani contraddicevano la ragione umana bisognava rifiutarle, e se corrispondevano alla ragione, allora erano superflue.

In misura ancora maggiore, l'universalismo che poggia sull'idea dell'unità della verità che si rivela alla ragione umana fu proprio dei filosofi. I filosofi erano sicuri che la loro scienza, basata su giudizi dimostrativi, consistesse in un insieme di conoscenze comuni a tutti i popoli divisi dalle religioni, le quali invece si servono di immagini poetiche e retoriche. Così come gli stoici, i filosofi musulmani ritenevano che l'umanità fosse composta da una minoranza razionale, gli eletti, e da una maggioranza irrazionale, la massa. L'élite intellettuale, nella quale trova la sua incarnazione suprema “l'umanesimo” ovvero la natura umana, assicura, secondo loro, continuità e progresso alla ragione umana, patrimonio dell'umanità intera. I filosofi, gli eletti, vedono la propria felicità nella realizzazione di questa missione, per quanto tutti gli esseri umani possano essere felici, ciascuno a suo modo.

L'universalismo, basato però, ormai, sull'esperienza mistica, fu peculiare anche del sufismo. L'esperienza mistica dei sufi presupponeva un movimento sulla strada della religione in direzione della verità: ma una volta raggiunta la verità, ecco che per loro le differenze tra le religioni perdevano ogni importanza. Tali differenze erano, per i sufi, puramente nominali, poiché all’interno di quel guscio che sono i testi sacri si trova, secondo loro, il senso profondo che ha importanza universale. Dio, nelle differenti religioni, si manifesta in forma differente - come un camaleonte - nelle teofanie (termine greco che traduce le apparizioni di Dio), ma in realtà egli è unico per tutti. Secondo l'opinione di alcuni sufi, i credenti si distinguono dai non credenti solo dal nome. L'orientamento umanista del sufismo si riflette nella sua ricchissima tradizione poetica che, sul piano teorico, trovò la sua espressione nella concezione dell'“uomo perfetto”, prototipo del macroantropo, Universo, e dell'uomo microcosmo.

Idee simili venivano esposte dai filosofi. La differenza fra questi e i sufi consisteva nel fatto che i primi avevano una concezione del mondo basata sulla ragione e i secondi sull'amore: ma l'amore per l'essere umano e per l'umanità era condiviso dagli uni e dagli altri. Il più grande rappresentante del sufismo speculativo, Ibn Arabi, si pronunciò contro il ricorso alla religione per giustificare la violenza di alcuni uomini contro altri. Ibn Arabi esortava i suoi lettori ad essere simili a Dio nella sua bontà. Ya’qia Ibn Adi, capo della scuola aristotelica di Baghdad (appartenente alla confessione dei giacobiti, ma in campo filosofico ex-allievo del musulmano al-Farabi nonché a sua volta maestro di molti altri filosofi, tra i quali ve n’erano di musulmani, nestoriani, giacobiti e ebrei), espresse un concetto analogo con queste parole: “Tutti gli esseri umani sono qualcosa di unico, che si manifesta attraverso vari individui. Dato che le loro anime rappresentano qualcosa di unico, (ne discende che) l'amore nasce grazie all'anima: e perciò tutti devono nutrire amore nei confronti degli altri. Per quanto attiene agli uomini buoni, bisogna amarli per la loro bontà; quanto ai villani, bisogna provare compassione per i loro peccati. La persona che aspira alla perfezione deve amare tutti gli esseri umani, e nutrire uno spirito compassionevole nei loro confronti. Questo è particolarmente necessario quando si tratta di un re o di un governante, poiché il re non è re se non alimenta amore e compassione nei confronti dei suoi sudditi”. Allo stesso modo il filosofo al-Amiri, a proposito della differenza fra sentimenti naturali e non naturali, prende come modelli del sentimento naturale l'amore del governante per i suoi sudditi, l'amore del padre per i figli, l'amore del marito per la moglie, dell'essere umano per i suoi concittadini, per l'umanità intera e per tutti gli esseri viventi in generale.

Tra i filosofi e gli Adibi fu promosso il criterio della superiorità dell'amore per l'essere umano non religiosamente motivato e della condotta morale in generale, rispetto alla carità e alla morale dettate dalle idee di ricompense e castighi nell'aldilà. Il famoso al-Tauhidi, filosofo e Adib, in una lettera ad un altro celebre filosofo e Adib, Mishq’aweij, disse: “Che cosa spinge lo Zindika (ateo) e il Dajrit (materialista) a fare il bene, a preferire le buone azioni, a dimostrare onestà, a non deviare dalla verità, ad essere caritatevole verso chi soffre, ad aiutare chi chiede aiuto, a dare appoggio a tutti coloro che vanno a cercarlo portandogli le proprie preoccupazioni e inquietudini? Poiché quell'uomo agisce come agisce senza aspettare ricompense ultraterrene per averlo fatto né, tantomeno, aspettando il castigo per non averlo fatto”. Nei giudizi dei pensatori musulmani medievali sull'umanesimo e sulla morale leggiamo una protesta interna contro l'interpretazione dei fanatici religiosi del jihad 1) come di una “guerra santa” che i musulmani devono sostenere contro gli infedeli in ogni tempo e luogo. In Spagna, dove i musulmani furono coinvolti in una lunga guerra contro i cristiani che avevano innalzato il vessillo della riconquista, il grande commentatore Ibn Rushd (più conosciuto con il nome di Averroè) rifiutava quest’interpretazione del concetto del jihad. Diceva: “La pace è sempre preferibile. La guerra è necessaria solo in casi eccezionali, perché nel jihad a soffrire più di tutti gli altri sono gli stessi musulmani”. A questo proposito bisogna osservare che jihad in quel tempo non significava solo guerra santa. Possiamo perciò riferirci alle parole attribuite a Maometto: “Abbiamo smesso di fare il piccolo jihad per intraprendere uno jihad grande”. In questa frase, piccolo jihad era inteso come lotta contro gli infedeli e jihad grande come la lotta contro le proprie inclinazioni al vizio nel cammino del perfezionamento dello spirito.

Però i temi dell'umanesimo e della misericordia li troviamo anche nella concezione classica del jihad come lotta contro gli infedeli. Tutte le scuole di diritto musulmano sono d'accordo che durante una guerra non si possono assassinare donne e bambini, a meno che questi non combattano i musulmani armi alla mano. I teologi musulmani consideravano atto meritevole di castigo l'assassinio dei prigionieri o la loro mutilazione. Si raccomanda ai musulmani di garantire la vita, la libertà e i beni dei rappresentanti della parte ostile che, durante una guerra, si trovino in terra d'Islam in missione diplomatica o commerciale.

Naturalmente, le idee e gli ideali testé esaminati rimasero tali; ma quando, e dove, le teorie umaniste coincidono completamente con la pratica? Le dottrine umaniste create dai rappresentanti della cultura musulmana classica esercitarono un’influenza benefica sul pensiero europeo del Medio Evo, del Rinascimento e dei tempi moderni. Basti dire che sono proprio queste dottrine ad essere considerate dai ricercatori contemporanei le fonti della concezione di un'unica umanità che progredisce nel suo sviluppo morale e intellettuale; concezione elaborata dai filosofi europei a partire dall’epoca dell'averroismo medievale per arrivare ai nostri giorni.

1) Nonostante i media ci abbiano abituati alla lezione la jihad, al femminile, resta il fatto che, in arabo, jihad, guerra, è parola maschile (N.d.T.).
cmsu/pubblicazioni/annuario94-4.txt · Ultima modifica: 2010/06/05 20:26 (modifica esterna)