La coscienza umana e lo spazio profondo

Fulvio De Vita

II° Convegno “Universi a confronto” – Orvieto
15 novembre 2009

Vorrei prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questo convegno per averci dato l’opportunità di essere presenti e di partecipare con il nostro punto di vista all’interessante dialogo che qui si è sviluppato.

Purtroppo non sono uno specialista nel campo della psicologia terapeutica, né dello sciamanesimo. Sono semplicemente uno studioso del Nuovo Umanesimo e delle espressioni della religiosità nel mondo attuale. Il mio intervento si basa soprattutto sul libro “Appunti di Psicologia”, scritto da Silo, che è il fondatore di questa corrente di pensiero.

Innanzitutto è importante dire che non possiamo parlare di coscienza umana se non parliamo del mondo cui tale coscienza si riferisce e così, al contrario, non è possibile parlare di “mondo” o di “realtà” senza prendere in considerazione la coscienza che lo percepisce e struttura. Quindi possiamo parlare di una struttura dinamica, che si modifica continuamente in base agli stimoli che arrivano dal mondo e alle diverse situazioni in cui si trova la coscienza. Queste situazioni diverse, in cui la coscienza individuale si viene a trovare, dipendono da molti e diversi fattori. Credo sia importante soffermarci un attimo su questo punto perché sarà importante nel momento di parlare di stati particolari della coscienza stessa. Le prime situazioni che risultano evidenti sono quelle dei tipici livelli di lavoro della coscienza: il sonno profondo, il sonno paradosso, il dormiveglia e la veglia ordinaria. È possibile osservare con facilità che in ognuno di questi livelli in cui la coscienza opera, le strutturazioni del mondo si modificano. Quindi in veglia ci saranno meccanismi di reversibilità, di critica e autocritica e saremo in grado di sviluppare processi astrattivi. Nel dormiveglia la capacità critica diminuisce, mentre aumenta la suggestione delle rappresentazioni interne, dei ricordi, delle fantasie. Nel sonno scompare totalmente la percezione esterna e la suggestione delle rappresentazioni è massima. Spesso ci svegliamo con la sensazione di aver vissuto qualcosa di “quasi reale” e tale sensazione ci accompagna per gran parte della giornata influenzando, a volte, la veglia.

In secondo luogo possiamo osservare che anche all’interno dei livelli si trovano situazioni della coscienza molto diverse. Potremmo chiamare queste situazioni “stati di coscienza”, per differenziarle dai livelli. Sicuramente tutti abbiamo potuto osservare che durante la giornata ci sono momenti in cui la nostra immaginazione prende il sopravvento sui processi astrattivi e ci troviamo coinvolti, spesso nostro malgrado, in situazioni sgradevoli, perdendo attenzione e autocritica. Ci facciamo coinvolgere esageratamente da stimoli esterni oppure, per esempio, ci perdiamo nelle nostre fantasticherie, perdendo contatto con la realtà circostante. In questi diversi stati di coscienza la strutturazione della realtà si modifica e quello che era un tema poco importante in un determinato stato, acquisisce una grande importanza in altri momenti. Quelli che a noi interessano in questo caso, in modo particolare, sono quegli stati della veglia in cui non stanno funzionando le normali funzioni di quel livello (critica, autocritica, ecc.) dando luogo a vere e proprie configurazioni non abituali della coscienza, ossia modi non abituali di essere nel mondo. Abbiamo diviso queste configurazioni in due grandi gruppi: “la coscienza perturbata” e la “coscienza ispirata”.

A questo punto conviene introdurre brevemente il concetto di “io”, così come lo interpretiamo nella psicologia del Nuovo Umanesimo, perché cominceremo a parlare di ciò che succede con l’io in questi particolari stati. Citiamo un paragrafo di Appunti di Psicologia: “Spesso si confonde la coscienza con l’ “io” quando in realtà quest’ultimo non ha una base corporea, al contrario della prima che possiamo identificare con un “apparato” di registro e di coordinazione dello psichismo umano. In una precedente occasione abbiamo chiarito: “[…] Questo dell’identità propria della coscienza proviene dai dati dei sensi e da quelli della memoria, più una peculiare configurazione che concede alla coscienza l’illusione della permanenza nonostante i continui cambiamenti che in essa si verificano. Tale configurazione illusoria di identità e permanenza è l’io.”

Nei casi di coscienza perturbata possiamo osservare che frequentemente, pur mantenendosi la coscienza in uno stato di veglia, la nozione dell’io subisce un’alterazione. Nei casi di coscienza alterata l’io si trova all’estrema periferia. Esso non controlla più i processi delle risposte al mondo e i meccanismo di reversibilità, ma piuttosto è “perso” nello stimolo esterno e si identifica con esso. Questo è il caso di alterazioni violente, in cui si perde la dimensione reale della situazione, fino ad arrivare ad esempi estremi di situazioni allucinatorie. Al contrario, nei casi di coscienza introspettiva, l’io perde il contatto con la realtà esterna, perdendosi nelle rappresentazioni interne, nei ricordi e il mondo esterno viene caricato di significati che non gli sono propri. Quindi è possibile facilmente osservare che l’io si sposta secondo lo stato in cui si trova la coscienza. Stiamo facendo questi brevi esempi e semplificazioni per introdurre e comprendere in seguito la tematica che ci sta a cuore veramente, quella degli stati di coscienza ispirata, in cui si possono riconoscere alcune delle caratteristiche descritte per gli stati alterati e introspettivi e in cui l’io modifica considerevolmente la sua posizione fino, a volte, a scomparire per brevi istanti. Dunque negli stati che abbiamo chiamato di coscienza ispirata, qualcosa di particolare e non abituale succede alla coscienza. Possiamo trovare casi di coscienza ispirata che si esprimono in diverse maniere: nella Filosofia, nella Scienza, nell’Arte e nella Mistica di cui abbondano i resoconti nella letteratura di ogni epoca. Ma anche nella vita quotidiana, spesso, sperimentiamo intuizioni improvvise che ci permettono di risolvere a volte situazioni complesse oppure anche durante il sonno o il dormiveglia.

Cosa succede in quei momenti? Cosa permette di uscire per un attimo dal fluire normale (e a volte noioso) della coscienza, allontanarsi dal controllo dell’io, sfiorare altri spazi, (se “spazi” si possono chiamare)? Nel lungo cammino percorso dall’essere umano troviamo migliaia di racconti e testimonianze di “contatti” di questo tipo. Alcuni praticanti di queste esperienze hanno cercato spesso, soprattutto nelle storia più recente, di ordinare questi percorsi in modo che non avvenissero solo in modo casuale o sotto induzione di sostanze esterne.

Virgilio, nel Libro VI dell’Eneide, ci offre un’immagine eloquente di come la Sibilla Cumana entra in contatto con il dio. Nei casi delle Sibille e degli Oracoli di quell’epoca possiamo parlare di una trance (a volte ottenuta con l’appoggio di alcune sostanze tossiche naturali) in cui l’io abituale viene sostituito da un’entità superiore. Mircea Eliade, nel suo libro Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, descrive in modo esteso e particolareggiato diverse forme di trance sciamanico sviluppatesi dall’Asia Centrale al Sudamerica, dall’Europa all’Oceania, in cui il praticante si mette a disposizione dell’ispirazione che gli permette di entrare in contatto con realtà diverse e poter esercitare poteri sconosciuti per lui nelle vita quotidiana. È da ricordare che probabilmente ancora oggi lo sciamanesimo è la forma religiosa più diffusa nel mondo. I riti Vodoo centroamericani, di origine africana, ci permettono di capire tecniche di trance basati su danze e decotti prodotti con un pesce tossico, così come in Brasile, la Macumba, ci mostra altre varianti mistiche dello stesso tipo.

Non tutti i casi di trance, però, sono così vistosi. Le tecniche indiane degli Yantra e dei Mantram permettono l’interiorizzazione dell’io-attenzione attraverso fasi successive di ripetizione di figure geometriche o di suoni. In questi casi molti praticanti occidentali non raggiungono i risultati sperati perché non hanno una preparazione affettiva e devozionale sufficiente affinché la rappresentazione cenestesica accompagni il restringimento dell’attenzione. La sostituzione o lo spostamento dell’io può verificarsi nei culti citati e perfino nelle più recenti correnti spiritiste.

In tutti questi casi possiamo osservare che sempre il fenomeno avviene per una interiorizzazione dell’io-attenzione, attraverso diverse pratiche, fino ad arrivare alla sostituzione o alla sospensione temporanea dell’io. Nelle tecniche avanzate di interiorizzazione, come il caso dell’Orazione del cuore praticata dai monaci del Monte Athos, o in alcuni tipi di Yoga, in cui l’interesse non è legato ad entrare in contatto con un dio o a realizzare qualche azione specifica, si può andare oltre lo stato di trance, potendo produrre momenti di sospensione dell’io in piena veglia.

Non stiamo parlando qui di una soppressione dell’io nella vita quotidiana. Se così dovesse succedere perderemmo il controllo strutturale della spazialità e temporalità dei processi mentali e ci troveremmo catapultati in una fase precedente a quella dell’apprendimento di un bambino, cosa impossibile da realizzare. È possibile, però, arrivare alla soppressione dell’io in determinate condizioni, non già accidentali o provocate da sostanze esterne, che partono dallo stato di sospensione. Nelle situazioni in cui l’io viene sospeso o spostato, si entra in contatto con spazi profondi non raggiungibili dai normali processi psicologici. In questi casi si producono interessanti registri di “coscienza lucida” e di presa di coscienza delle proprie limitazioni mentali. Per alcuni istanti l’io psicologico scompare, scomparendo i registri di temporalità e spazialità abituali, e si prende contatto con il Profondo dell’essere umano, il non-luogo da cui scaturiscono le migliori aspirazioni e le più elevate ispirazioni.

Dobbiamo tener conto che nei momenti di sospensione dell’io le normali funzionalità della coscienza vengono anch’esse sospese ed è necessario chiedersi: com’è possibile che io ricordi ciò che è successo? In realtà ciò che la coscienza riesce a registrare è l’ultimo momento prima che l’io scompaia e il primo momento in cui esso appare nuovamente. È la differenza di stato tra i due momenti che ci permette di avere la percezione di ciò che è accaduto. Durante la sospensione non abbiamo possibilità di registrare e memorizzare ciò che accade, ma la “reminescenza” di quello stato particolare produce grandi trasformazioni nella coscienza.

Non avendo possibilità di gestione di quei momenti è necessario che il praticante abbia chiaro ciò che desidera ottenere come obiettivo finale del suo lavoro. Ossia che abbia elaborato nel suo lavoro preparatorio un Proposito chiaro. In tutti i casi citati precedentemente, come si può facilmente osservare, c’è sempre un Proposito chiaro per il praticante, il sacerdote o il devoto. Ognuno di loro, all’interno del contesto culturale o religioso in cui si trova, ha “caricato” affettivamente il suo Proposito: entrare in contatto col dio, curare qualche infermo, raggiungere la liberazione della mente, ecc. È da aggiungere che il Proposito, elaborato e caricato affettivamente in veglia, agirà nei momenti di “contatto” a partire dal campo di compresenza della coscienza, giacché sarà impossibile per la coscienza stessa portarlo in presenza.

In sintesi: la coscienza si viene a trovare nella sua dinamica in diversi stati, tra cui quelli di coscienza ispirata; tali stati dipendono da una particolare posizione dell’io fino ad arrivare alla completa sospensione di esso; tale sospensione può accadere accidentalmente, per ingestione di sostanze tossiche, per situazioni fisiche particolari o per lavoro intenzionale e sostenuto; è nei momenti di sospensione dell’io che possiamo prendere contatto con il Profondo da cui possiamo riscattare significati ispiratori e sensi profondi delle cose; è necessario un Proposito chiaro e una carica affettiva sufficiente per dare direzione a tale fenomeno.

Grazie dell’attenzione