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Riassunto La genealogia della morale di Nietzsche

In ques'area possono essere pubblicate le varie sintesi delle riunioni, i riassunti o le sintesi dei libri studiati, le impressioni sul lavoro, le riflessioni e gli apporti al tema della vendetta.

Riassunto La genealogia della morale di Nietzsche

Messaggioda vito » ven feb 17, 2012 10:23 pm

Riassunto di “Genealogia della morale” di F.Nietzsche

Prima dissertazione. Buono e malvagio. Buono e cattivo.
Nel primo trattato Nietzsche riflette sui valori di "bene e male" e "buono e cattivo", trovando che essi hanno due origini differenti e che il valore "buono" ha in principio due significati radicalmente opposti. Il filosofo immagina una società originaria di uomini forti e fieri che "dicono sì alla vita": il loro agire, pienamente positivo e creativo, è in se stesso la morale dei signori. Questa capacità umana di godere della vita e di attuare il "bene" in terra è però visto, all'altro capo della scala sociale, come un male. I deboli infatti interpretano l'agire dei signori come il male per eccellenza: la morale del gregge, quindi, è una morale di reazione guidata dal ressentiment verso i nobili e potenti. L'attacco che i deboli muovono al potere dominante consiste quindi nel rovesciare la scala dei valori e nel trasformare ciò che per i signori è buono in qualcosa di moralmente cattivo e sbagliato. Per attuare questa rivoluzione dal basso è però necessario giustificare il ribaltamento in atto.
Nell' identificare i valori appartenenti ai signori, Nietzsche muove la sua teoria dalla constatazione che tutte le società umane originarie fossero rigidamente suddivise in caste, e che l' appartenenza a ciascuna di esse fosse indice di un differente modus vivendi oltre che di differenti valutazioni morali. La casta dominante era quella dei guerrieri-sacerdoti, mentre quella dominata era in generale di quanti non avevano peso politico, spirituale o militare, e che Nietzsche riconosce piuttosto genericamente negli "schiavi". La morale aristocratica è rappresentata dalla contrapposizione di "buono e cattivo", mentre quella plebea dall'antitesi "buono e malvagio". Sostanzialmente il "buono" dei nobili è il "malvagio" dei plebei: il buono nell'accezione aristocratica è un individuo puro di mente e di cuore, pervaso di salute, audace e gioioso, costumato con i suoi pari ma indifferente alla condizione dei sottoposti che si sente in diritto di dominare; per l' appunto queste caratteristiche sono viste dallo schiavo come orribili vizi. Lo schiavo, invece, essendo impotente, a differenza del signore che ha la forza di sottomettere gli altri anche con l' esercizio della brutalità, apprezza quelle qualità che gli consentono di sopravvivere, ovvero la pazienza, l' umiltà, la gentilezza, la sopportazione dei soprusi. Lo schiavo cova un odio profondo per il suo dominatore, ma non potendolo manifestare dal momento che non ha né la forza né l'energia per opporsi al suo nemico, è costretto a trattenere dentro il sé il risentimento perdendo così l' amore per la vita.
Nonostante la morale aristocratica sia una morale affermativa che dice di sì alla vita, la morale degli schiavi alla fine trionfa su di essa prendendo il sopravvento lentamente e inesorabilmente. Responsabili del rovesciamento del codice di valutazione morale sono principalmente i sacerdoti. Nel progresso della società, secondo Nietzsche, il ruolo dei sacerdoti è destinato a differenziarsi da quello dei guerrieri, creando così conflitti sul criterio di valutazione. Il sacerdote, essendo fondamentalmente impotente come lo schiavo, nutre risentimento per i guerrieri, così crea i concetti di puro e impuro. Da questa contrapposizione iniziale sviluppa una serie di categorie in base alle quali è puro chi decide di vivere secondo il dettame dei capi spirituali; il sacerdote, capendo che l' unico modo per sconfiggere il guerriero è quello di "allearsi" - naturalmente solo per convenienza e con lo scopo di dominio assoluto - con la plebe, stabilisce che la vita terrena non è altro che una copia della vera vita, quella ultraterrena che è riservata soltanto ai buoni nella concezione degli schiavi. Nietzsche imputa principalmente agli ebrei e ai loro eredi cristiani di aver inquinato ogni visione positiva e terrena della vita con promesse ultramondane illusorie. In particolare è stata la diffusione del cristianesimo ad aver portato alle estreme conseguenze questo processo di disgregamento della morale affermativa.

Seconda dissertazione. Colpa, cattiva coscienza e simili.
La seconda dissertazione verte sulla la psicologia della coscienza. La più antica umanità ha fondato la propria giustizia sulla compensazione dell'atto trasgressivo. Questa compensazione era attuata tramite azioni violente, esemplificate nelle condanne a morte, nell'idea fondamentale che la violenza fosse un qualcosa di naturale, di spontaneo nell' uomo quanto nelle bestie selvatiche. In questo senso, la crudeltà non aveva bisogno di giustificazioni, e il danneggiato poteva esigere dal danneggiatore una pena brutale senza che la sua coscienza ne fosse inorridita. Il senso di colpa veniva letteralmente instillato con l' esempio della fine orrenda riservata a tutti i trasgressori, anche se provocare questo sentimento di colpa non era l' origine ma solo lo scopo finale della pena: la commisurazione della pena era stabilita da quanti avevano potere. Per Nietzsche, contrariamente ai contemporanei genealogisti del diritto, il criterio di giudizio del reo non era prestabilito con una sorta di contratto tra libere persone; solo i "forti", tutti quanti avevano maggiore volontà di potenza, in virtù della loro superiorità rispetto alla massa di impotenti, erano in grado di stabilire ciò che fosse giusto e sbagliato.
La primaria utilità della pena, dunque, era spaventare il cittadino e in un certo modo ammansirlo. Venuti a mancare i presupposti fondamentali del castigo, con la trasvalutazione dei valori aristocratici in quelli plebei, l' entità della pena e il suo senso si sono ridotti progressivamente, generando così una contraddizione storica di cui la società attuale di Nietzsche subiva le conseguenze: ogni forma di cattiva coscienza si assenta nel criminale, accrescendo anzi in lui il desiderio di perpetrare i suoi crimini una volta uscito dal circolo inutile della pena detentiva. La metamorfosi della cattiva coscienza è avvenuta gradualmente per effetto dell' edificazione di comunità umane sempre più costumate e pacifiche. Quegli uomini, non potendo più sfogare i propri istinti bestiali contro un bersaglio esterno, non poterono che sfogarli contro se stessi, interiorizzandoli in maniera acuta.
Alla coscienza della colpa, invece, ha contribuito in maniera preponderante il timore reverenziale dell'uomo antico per gli antenati e gli dei; Nietzsche, convinto che ogni forma di giustizia dell'antichità fosse basata sul basilare rapporto creditore-debitore, ravvisa l' origine di questo principio nel debito che ogni uomo della comunità sentiva di pagare ai propri antenati: volendo glorificarli per aver dato vita e possibilità al presente, l' uomo di oggi compie sacrifici in onore dell'uomo di ieri, pagando spesso tributi di sangue, fino addirittura a deificare gli avi, provando così un sempre maggior timore. La creazione tutta umana del Dio cristiano ha parimenti generato un debito di così vasta portata da non essere più sopportabile, in altre parole l' uomo del presente non può sostenere psichicamente questo enorme senso di responsabilità nei confronti di Dio, e inevitabilmente sarà spinto all' ateismo, quindi a una regressione all' innocenza della coscienza che non avverte più alcuna colpa (questo almeno è quello che auspica Nietzsche, sottolineando come questo messaggio non sia rivolto alla massa, verso cui il filosofo non nutre alcuna speranza, ma solo a una cerchia ristretta di liberi spiriti in grado di sorreggere la morte di Dio).

Terza dissertazione. Che significano gli ideali ascetici?
Nietzsche parla dell'ascetismo, ossia l'abnegazione della vita terrena, come un atto di sublimazione, ossia di trasformazione di stato o meglio spiritualizzazione di bassi istinti. Quindi anziché considerare l'ideale asceta, come un'elevazione pura alla carnalità, viene invece visto come ingegnoso camuffamento della volontà di potenza. Per il filosofo, l'asceta è fortemente attaccato al proprio ego che manifestamente tanto aberra, e nel suo apparente disinteresse per la vita, vige invece un profondo attaccamento alla stessa. L'innalzarsi sulle mediocrità conflittuali delle persone, è invece solo un altro modo per imporsi terrenamente su di esse, ed il desiderio di morte è impregnato in un orgoglio profondo. Evidente quindi come Nietzsche punti a smontare qualsiasi valore puro e spirituale descrivendo come ancora una volta l'uomo non è divisibile dalla natura, dalla materia, e che anzi la negazione di quest'ultima è un'esaltazione ancora maggiore della volontà di potenza, puramente terrena.

Sintesi

Per Nietzsche la morale arcaica è la morale dei forti, dei nobili o meglio dei vincitori. Sono essi che definiscono i termini della morale. Lo fanno a partire dall'immagine che hanno di sé stessi. Questi creatori della morale arcaica sono sostanzialmente i guerrieri, alla testa di una società divisa in caste. Lo dimostrano, sempre per Nietzsche, la ricerca etimologica di buono, che sembra derivare dal latino bonus e a sua volta dal più antico duonus (guerriero). In questo senso il concetto di moralmente buono si riferisce solo alle qualità del guerriero. “Buono” perciò è il coraggio, la forza, il desiderio di dominare. “Cattivo” invece deriverebbe da captivo, appunto ciò che più differisce dal guerriero, cioè il prigioniero, il servo, il sottomesso.
Questa concezione morale guerriera definisce l'essere umano come l'erede dei suoi padri ormai innalzati a divinità in cui non concepisce l'idea di trascendenza, necessita piuttosto del concetto d'immortalità. L'immortalità è il grande proposito che perseguono gli eroi guerrieri. Solo nell'immortalità il guerriero si pone al pari dei suoi padri e ripaga definitivamente il debito del sangue. La morte diviene quindi l'ultimo ostacolo per compiere pienamente con la vita intesa come volontà di potenza o come Essere pienamente.

Per questi “buoni” nulla è più morale, nulla può dare direzione alla vita se non l'incarnare il mito dell'eroe ma questa morale del vincitore non conosce il senso di colpa. Fintanto che si è vincitori, la colpa non s'insinua nella coscienza umana. Neanche la morte in battaglia è immorale perché in ultimo si è perseguito un dettato morale.
La colpa appare nel vinto, nel sopravvissuto fatto prigioniero, nel cattivo appunto. Quando nelle società comincia la schiavitù, quando cioè si passa dalla fase in cui si sterminano i nemici, dove nessuno deve sopravvivere, alla fase in cui si sceglie di fare dei prigionieri e successivamente dei sudditi fino alla nascita delle caste, vediamo sorgere un sentimento nuovo nella coscienza umana, quello del rimorso, del ressentiment per dirlo come Nietzsche. Questo sentimento è proprio dei gruppi umani sottomessi, resi prigionieri, quello dei “cattivi”. E' un sentimento che sorge come reazione a quello di frustrazione.
E' interessante osservare come in quei momenti in cui l'umanità non ammetteva prigionieri ciò che li muoveva era proprio la paura della vendetta, come eventualità che minava la buona pace della società e della coscienza umana.
La colpa del “cattivo” è quello di non aver soddisfatto, ripagato i Padri, in altre parole gli Dei.
La colpa prima di essere riconosciuta dal “buono” è vissuta e registrata nella coscienza del “cattivo”. E' solo in seguito che il “buono” vede il “cattivo” come il responsabile di colpa, il colpevole appunto. Ma è proprio in questa definizione di “colpevole” che la colpa e quindi il rimorso s'insinua anche nella coscienza del “buono”. Questo ressentiment che prima apparteneva solo al perdente, allo schiavo, ora diventa una possibilità nel vincitore.

La colpa quindi diviene strumento di “addomesticamento”, di “ammansimento” del “cattivo” e se in un primo momento la punizione mirava al generare il senso di colpa, piano a piano la colpa diviene motivo della punizione.
Quest'opera d'insinuazione della colpa, secondo Nietzsche è da addebitarsi alla casta sacerdotale. La casta sacerdotale è quella che concepisce i concetti di “puro” ed “impuro”, all'inizio come semplici regole igienico sanitarie per estenderli poi a comportamenti sempre più astratti e interiorizzati. Puro ed impuro quindi saranno messi in relazione con l'idea di colpa. Con il tempo questi concetti definiranno un comportamento morale che si allontanerà sempre più dalla morale arcaica, arrivando a prendere il sopravvento sulla classe guerriera fino a quel momento padrona assoluta del tutto sociale. Per ottenere questo risultato la classe sacerdotale ha avuto bisogno di “allearsi” con la classe degli “schiavi”, dei “cattivi”.
La classe sacerdotale quindi produce una vera e propria manipolazione innalzando il desiderio di vendetta proprio del ressentiment, a Senso, a motore dell'esistenza umana.
Si stabilisce quindi una morale che ha come insogno una giustizia ultraterrena. Un Dio che finalmente compirà la vendetta del “cattivo” che ormai ha cambiato la sua definizione perché si trasforma nel “buono”. La sua condizione di cattività è quindi divenuta il parametro della nuova morale e ciò che un tempo era il “buono” diventa il “malvagio”. In questa nuova morale s'immagina un “giudizio finale” in cui l'ordine cosmico perduto finalmente viene riconquistato e la vendetta consumata.
Ma questa morale del risentimento inevitabilmente si è rivoltata contro la vita e diviene un ideale nichilista, e antiumano. La tortura del risentimento non si esaurisce con la vendetta sull'altro ma si rivolge insoddisfatta sull'esistenza umana. Quella colpa di cui l'altro si è macchiato è divenuta la colpa della vita. In merito Nietzsche afferma: “Questa è una sorta di follia del volere nella crudeltà interiore che non ha certo uguali: la volontà dell'uomo di
sentirsi colpevole e riprovevole tanto da non poter più espiare le sue colpe, la sua "volontà" di pensarsi punito, senza che la pena possa mai adeguarsi alla colpa, la sua volontà di infettare il fondo più remoto delle cose col problema della pena e della colpa, di intossicarlo, per precludersi una volta per sempre ogni via di uscita da questo labirinto di «idee fisse», la sua "volontà" di istituirsi un ideale - quello del «Dio santo» -, e di essere incontrovertibilmente certo della propria assoluta indegnità di fronte a lui. ” Si fa strada quindi un sistema di credenze in cui la vita termina con la morte e l'insogno diventa una concezione della trascendenza come superamento della condizione umana.
vito
 
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