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Riassunto e sintesi di Itaca di Cantarella

In ques'area possono essere pubblicate le varie sintesi delle riunioni, i riassunti o le sintesi dei libri studiati, le impressioni sul lavoro, le riflessioni e gli apporti al tema della vendetta.

Riassunto e sintesi di Itaca di Cantarella

Messaggioda vito » ven feb 17, 2012 10:28 pm

Riassunto e sintesi di
“Itaca” di Eva Cantarella, Feltrinelli, 2009
by Fulvio De Vita

Introduzione al Riassunto:
L’autrice insegna Diritto greco antico all’Università di Milano.
Nel libro in questione tratta, attraverso un’interpretazione dei poemi omerici (in particolare dell’Odissea), le relazioni sociali esistenti all’epoca cosiddetta “omerica” tentando di estrarne una visione del passaggio da un tipo di diritto privato (in cui la vendetta è un fattore primario), tipico delle società omeriche e pre-omeriche, a un diritto più evoluto e socializzato che si ritroverà successivamente nelle città stato della Grecia.

ITACA

La premessa.
È un breve riassunto dei contenuti del libro in cui ne dà il contesto e ne descrive l’interesse.
Importante un commento alla terza parte del libro in cui descrive il ritorno di Ulisse ad Itaca: “La riconquista del poter politico, invece, si svolge nella logica inesorabile della vendetta, retribuzione pura che non può tener conto di stati soggettivi, di gradazioni della volontarietà e di misurazioni della colpa.

L’emergere di nuove regole che segnalano la trasformazione della forza fisica da strumento di riaffermazione dell’onore individuale e familiare in strumento per il mantenimento di un ordine comunitario….”

Introduzione storica

1. Capire Itaca
È una breve introduzione sulla metodologia utilizzata e del perché sia importante capire la struttura sociale di Itaca attraverso le descrizione e interpretazione della poesia omerica.

2. Poesia e comunicazione: la trasmissione della cultura nelle società occidentali.
Qui si descrive l’importanza della poesia (omerica in particolare) per poter comprendere le relazioni sociali di quell’epoca, in cui la poesia (prima orale e poi scritta) era l’unica forma di trasmissione di cultura.
Indicativo in questo capitolo (ai fini del nostro interesse) è il capitoletto intitolato “Belli e vincenti. L’etica del successo e le qualità per raggiungerlo: forza, parola e bellezza.” In esso risalta una frase: “Queste dunque le qualità culturalmente valutate e socialmente premiate nel mondo omerico: la capacità di imporsi con la forza fisica, con il coraggio e con la parola. Capacità che consentivano a chi le possedeva, di comportarsi secondo i canoni eroici. E i canoni eroici imponevano, in primo luogo, di non tollerare le offese.”
Il capitoletto successivo: “La vendetta: l’atto che dà la gloria e che dà gioia al cuore” evidenzia la relazione con la vendetta in cui a ogni atto offensivo si risponde con una vendetta. La vendetta consente in primo luogo di ristabilire un equilibrio numerico, che l’omicidio ha alterato.
Questo ha inizio nel diritto assiro# (non solo relativamente all’omicidio) e prosegue fino a tempi recenti (beduini del Sinai) in cui, per esempio, la moglie, la sorella o la figlia dell’assassino dovevano sposare il parente più stretto del defunto per procreare un figlio che sostituisse il morto.
Nell’epoca omerica questa “regola” viene inserita nell’ottica dell’onore e si ritrova nella serie di vendette tra i combattimenti delle opposte schiere: per ogni commilitone ucciso un soldato greco doveva uccidere un troiano (e viceversa).
Ogni oltraggio subito diminuisce la time, lede la considerazione sociale della vittima e del suo gruppo. Solo facendo vendetta colui che ha subito un torto dimostra di essere più forte e valoroso dell’offensore. E chi non era in grado di vendicarsi, chi non sentiva il dovere di farlo, era un vigliacco e non era degno di essere amato. Di questo, nel libro, si fanno serie di esempi relativi all’Odissea.
La vendetta ha anche una funzione psicologica: allevia il dolore e dà gioia al cuore.
Nel seguente capitoletto “Antropologia dell’eroe” si dice: “Nel mondo antico, al nome dell’eroe erano legati, nel mito, gli atti di fondazione delle città, a lui erano dedicate epopee e canzoni, al suo comportamento dovevano ispirarsi i cittadini, se volevano meritare stima e onori.”
Nel mondo moderno invece l’ideale eroico sembra aver perso il fascino e la funzione di un tempo. La Cantarella mette in dubbio questo fatto e dice che forse è stato solo dislocato per una variazione dei valori, ma non è scomparso.
E continua: “ L’eroe classico sacrifica la vita per la patria, muore per il bene comune, pone l’interesse della propria città al di sopra del suo interesse personale…. Cosa che l’eroe omerico non si sarebbe mai sognato di fare: per lui quello che contava era l’interesse proprio, specifico, privato, non di rado brutalmente egoista.” Spesso perché il suo nome non venisse dimenticato.
Ancora: “Chi non è forte, prepotente e talvolta arrogante è solamente un vigliacco. All’eroe non è consentita la pietà. Ma gli sono consentite le lacrime…. E la cultura omerica imponeva loro di farlo in modo enfatico, esagerato, per non dire esibizionista.”
In due dei capitoletti seguenti, intitolati “Comunicazione e controllo sociale: il ruolo dell’opinione pubblica nella costruzione dell’identità” e “Immagini ed emozioni. Quel che conta è la fama: non ‘essere’, ma ‘essere detti’”, l’autrice descrive il tipo di pressione sociale cui sono sottoposte le popolazioni in diverse culture, dividendole (riprendendo definizioni di Benedict e Dodds) in “cultura della vergogna” e “cultura della colpa”. La prima ottenuta attraverso l’imposizione di modelli positivi di comportamento nella quale coloro che non si adeguano incorrono nel biasimo sociale e in cui la reputazione è tutto; la seconda invece i comportamenti vengono determinati attraverso l’imposizione di divieti con conseguente senso di angoscia, di colpa e di rimorso e in cui prevalgono il pentimento e il perdono.
Nella cultura omerica l’importante è “essere detto”. “Quello che conta è la fama: le virtù, in sé, le azioni lodevoli, se sconosciute, non hanno importanza, si potrebbe dire che non hanno esistenza”
Per la comprensione della psicologia omerica, l’autrice spiega due parole fondamentali: aidos e elencheie.
Aidos è la sanzione interna, quella che fa vergognare di sé chi non è all’altezza delle sue e delle altrui aspettative; elencheie è la sanzione sociale, quella che attraverso la “voce popolare” colpisce dall’esterno. L’adeguamento alle regole del codice eroico è a tal punto garantito dal timore della duplice vergogna da non avere bisogno di costrizioni fisiche. Ogni fallimento, in un mondo ispirato all’etica del successo, è sanzionato dalla vergogna. Insegnare ai poveri che il mondo eroico non è il loro, né nelle cose né nelle emozioni, è lo strumento della sottomissione dei derelitti.
Il capitoletto successivo “La punizione divina” specifica: “Divieti e punizioni sono collegati all’intervento divino.
Gli dèi, infatti, come è ovvio, non tollerano offese. E non a caso ritengono offensivi i comportamenti che mettono in discussione la loro superiorità. Le regole del rapporto uomo-dio rafforzano il principio base dei rapporti tra i mortali, ribadendo la necessità di rispettare l’altrui status sociale.

Ma la punizione divina non cade solo su chi commette colpe che potremmo chiamare religiose: a volte essa cade anche su chi infrange le regole sociali

La credenza nella punizione divina, insomma, ha un’evidente funzione deterrente che, sommandosi a quella “promozionale” della proposizione dei modelli …, contribuisce a mantenere la devianza entro limiti che garantiscono al complesso normativo un grado di accettazione che determina la sua effettività.”

3. Itaca: quando?
Si analizzano qui gli antecedenti storici della cultura omerica e in particolare quella che probabilmente è l’antenato diretto: la cultura micenea. Ai fini del nostro interesse questo studio storico non ha particolare rilevanza.


PARTE I. ITACA SENZA ULISSE

In tutta questa sezione del libro viene descritta la struttura sociale di Itaca in assenza del suo Signore. Estraendo informazioni dagli scritti di Omero si descrivono i ruoli dei diversi personaggi (Penelope, i Proci, il figlio di Ulisse, ecc.) le loro possibili posizioni sociali, le dinamiche, i fondamenti e l’articolazione del potere.
Di particolare interesse ai nostri fini è l’interpretazione che si fa della hybris, tradotta in generale come un certo tipo di tracotanza che fa dimenticare all’essere umano i limiti della propria natura mortale o che, addirittura, lo inducono a tentare volontariamente di valicarli. È importante questo punto perché questo tipo di comportamento (hybris) viene attribuito nel poema omerico ai Proci, che saranno poi oggetto della vendetta di Ulisse.

PARTE II. ULISSE VERSO ITACA

In questa seconda sezione si raccontano i diversi episodi salienti del viaggio di Ulisse verso Itaca, estraendo da essi gli insegnamenti e i modelli che l’eroe Ulisse trasmette, in contrapposizione con i modelli degli esseri (maghe, Sirene, Ciclopi, popoli diversi, ecc.) che lui incontra.
Molto spazio è dedicato al ruolo e all’immagine delle donne: sedotte, seduttrici, oneste, traditrici, ecc.
Di qualche interesse generale è quando l’autrice si sofferma sulla concezione omerica dell’anima e dell’aldilà.


PARTE III. ULISSE A ITACA

Atena appare a Ulisse confermando che è veramente arrivato a Itaca. E insieme ad Atena, che gli instilla il dubbio, prepara la vendetta. Per vendicarsi dei Proci e per riprendere il controllo del suo oikos, deve uccidere.

1. La vendetta
“A uno a uno i cento otto proci vengono uccisi senza scampo: tutti, anche quelli che durante il corteggiamento si sono comportati in modo urbano, anche quelli che hanno cercato di controllare la prepotenza degli altri.”
Coperto di sangue Ulisse è l’immagine dell’eroe vendicatore.
È importante notare che, nonostante le scuse addotte da alcuni, o le colpe parziali di altri, la vendetta va portata avanti a prescindere, verso tutti i Proci.
Diverso è l’atteggiamento verso i servitori che lo hanno tradito, in cui, secondo la Cantarella, si applicano regole diverse, giudicando in base ai misfatti commessi e non per una cieca vendetta contro chi ha osato usurpare la propria time.
Nel secondo capitolo di questa sezione “La giustizia domestica”, si fa un analisi interessante per il nostro studio. Dopo aver analizzato la dinamica della vendetta e quella invece della giustizia applicata ai propri dipendenti conclude:
“Perché questo diverso atteggiamento?
La risposta discende dalla diversità delle logiche che ispirano l’uccisione dei proci e quella dei dipendenti: vendetta la prima, amministrazione della giustizia domestica la seconda.
La vendetta ignora colpe, atteggiamenti mentali, stati soggettivi: sono i fatti che ledono l’onore, non le intenzioni. È ai fatti che si reagisce uccidendo o accettando una compensazione o, come si dice spesso per indicare questa accettazione, “perdonando”.
…. nel contesto omerico chi è stato offeso può perdonare. Ma il perdono non ha alcuna relazione con l’atteggiamento psichico dell’offensore al momento dell’offesa, con la volontarietà della sua azione, con la sua consapevolezza. Dipende solo dalla volontà dell’offeso: e questo dipende, a sua volta, in qualche misura, dal suo carattere, ma soprattutto dal fatto che la quantità di compensazione e la pubblicità della sua consegna siano considerati dall’offeso sufficienti a riequilibrare il rapporto sociale alterato dall’atto offensivo. In altre parole, dipende da considerazioni personali e insindacabili dell’offeso, nelle quali non entra alcuna preoccupazione di giustizia.
La logica che presiede la punizione dei dipendenti, invece, è radicalmente diversa: chi punisce non deve recuperare il proprio onore, non deve ristabilire un equilibrio sociale fra pari. Deve garantire l’ordine all’interno del gruppo e affermare il suo ruolo di capo. E in quest’ottica può permettersi considerazioni che non hanno spazio nella logica della vendetta: può graduare i livelli di colpa, può graduare le punizioni; se del caso, può assolvere chi dimostra la propria innocenza.”

Il libro prosegue addentrandosi nella concezione di individuo in quella società, del concetto di colpa individuale, il concetto di volontarietà o meno dell’azione, di responsabilità morale, ecc. che secondo la Cantarella danno luogo alla nascita del Diritto moderno in contrapposizione alla “regolazione” dei conti privata.

Il primo studioso che tentò di elaborare una teoria generale del diritto “primitivo” è, nelle società extraoccidentali, Adamson Hoebel.
Hoebel afferma che ogni società condivide dei postulati fondamentali (che i sociologi e i filosofi definiscono normalmente “valori”). Ma non tutti i valori si traducono in norme giuridiche. Il punto fondamentale è che: “La vera, fondamentale condizione sine qua non per l’esistenza del diritto in qualunque società primitiva o civilizzata - dice Hoebel – è in realtà l’uso legittimo della coercizione fisica da parte di un agente socialmente autorizzato.”
Nelle società arcaiche il soggetto “socialmente autorizzato” è chi ha subito il torto.
“Ossia – prosegue Hoebel - quando la comunità considera giusto l’esercizio della forza da parte dell’individuo che ha subito il torto o da parte del gruppo parentale in una situazione determinata, e al contempo impedisce al trasgressore di contrattaccare il diritto prevale e l’ordina trionfa sulla violenza.”#
Ai tempi di Omero la regola sociale è la vendetta. Ma già esistono degli “amministratori di giustizia” che, a secondo dei momenti e delle popolazioni, sono i basileus (specie di nobili), i sovrani, gli wanax (capi militari), ecc.
Ma il loro ruolo ancora non è istituzionalizzato come “giudici” e sono piuttosto una specie di pacificatori che regolano le contese. Accanto ad essi esisteva probabilmente un collegio giudicante composto dagli anziani.
L’esempio riportato da Cantarella è quello di un giudizio tenuto in piazza (rappresentato sullo scudo di Achille) in cui due persone stanno litigando per il riscatto di un uomo ucciso. Una è l’assassino e l’altro il parente della vittima che si lamenta di non aver ricevuto il riscatto corrispondente. I due si sono rivolti a un histor - colui che ha visto, colui che sa - (da cui deriva historia) che fa da garante o testimone dell’avvenuto pagamento. Ma il vero collegio giudicante sono gli anziani seduti attorno.#

Infatti, nello stesso capitolo, troviamo un altro brano d’interesse: “Di quali anziani si tratta? ….. dopo decenni in cui si tendeva a collocarlo nel periodo “oscuro” (tra il IX e l’VIII sec a.C.) è stata riproposta l’ipotesi micenea: la giustizia dei gherontes (anziani), rifletterebbe la regolamentazione della vendetta, che i micenei avrebbero recepito dal Vicino Oriente.
Nei regni orientali – dice chi sostiene questa tesi – in caso di omicidio e di altri gravi crimini i tribunali hanno il potere non solo di accertare i fatti, ma anche di stabilire se chi vuole vendicarsi ha il diritto di farlo, in che misura può farlo, e qual è l’atteggiamento mentale del colpevole.
Di conseguenza, se esistono delle circostanze attenuanti (ad esempio se l’omicidio non è volontario), e se l’accusato riesce a provare l’esistenza di queste circostanze, la vendetta per omicidio è consentita solo se l’omicida non vuole o non può pagare una somma fissa (poine) prevista per il riscatto.”

Nei poemi omerici non c’è la possibilità di imporre ai parenti della vittima l’accettazione della poine (riscatto). Essi sono liberi di accettare l’offerta compensatoria oppure di farsi vendetta.
Nella legge di Draconte (621-620 a.C.) si stabiliva che in caso di omicidio involontario la pena dell’esilio poteva essere evitata solo se tutti i parenti erano d’accordo nell’accettare la compensazione. Altrimenti l’omicida doveva lasciare Atene.
Le liti, quindi, di cui il collegio giudicante veniva chiamato a decidere, nascono nel momento in cui qualcuno ritiene di essere oggetto di una vendetta ingiusta, perché già pagata la poine.
Se il verdetto era che la compensazione era stata pagata, questo significava che i parenti non potevano continuare nella loro vendetta, perché avrebbe dato luogo a una controvendetta giusta.
Ma se il verdetto era che la poine non era stata pagata per intero, questa dava legittimità alla vendetta n corso. A questo punto l’uso della forza fisica non era più un fatto privato, ma un uso “legittimo” esercitato da un “agente socialmente autorizzato” rappresentato dai membri del gruppo della parte lesa.

L’autrice conclude: “ Siamo in un’epoca ormai, in cui a una consuetudine secolare ispirata al riconoscimento del privilegio derivante dalla forza […] si affiancano valori ispirati a un’etica cooperativa e la corrispondente necessità, sempre più sentita, di garantire la pace sociale.
… il comportamento di chi viola la regola dell’alternativa tra vendetta e riscatto, approfittando della sua forza o del suo prestigio,, deve essere sanzionato
….
La collettività interviene per imporre l’osservanza di una regola con l’uso della forza fisica.”

E poco più avanti, come frase conclusiva del libro: “La vergogna […] viene affiancata da una nuova sanzione, diversa, fisica, così come fisica era stata per secoli la reazione vendicativa. Senonché, ora, l’uso della forza fisica è una sanzione “pubblica”.
Anche volendo escludere il carattere giuridico di una sanzione come la vergogna possiamo ben dire che, con l’uso della forza fisica da parte di “agenti socialmente autorizzati” , la Grecia postmicenea entra nel mondo del diritto.”
SINTESI

Il meccanismo della vendetta descritta nei poemi omerici è chiaro: chi viene colpito nel proprio onore, chi viene offeso (anche attraverso la propria famiglia, o gruppo sociale o stirpe) ha il diritto di farsi vendetta.
La vendetta non riconosce livelli di colpa o volontarietà. È totale, affinché sia ristabilito l’equilibrio.
E gli eroi hanno il dovere di seguire questa condotta, perché altrimenti perdono la loro time e, quindi, la possibilità di diventare immortali perdendo la loro qualità di eroi
È molto chiaro, infatti, anche il collegamento con i modelli vigenti, secondo i quali è lecita la vendetta, se l’oltraggio ti allontana da quei modelli.
Perfino gli dei danno il modello di questa condotta.

Il passaggio, di cui parla l’autrice, da una vendetta privata a una regolata e gestita dalla comunità, non fa altro che perpetuare e legittimare socialmente tale condotta.
Ossia, non è messo in discussione il meccanismo della vendetta (mostrando in questo un cambiamento profondo della cultura), ma semplicemente assorbito come fondamento per il futuro “diritto”.
vito
 
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